Nightshade: Babilonia Connection

Nightshade: Babilonia Connection di Andrea Carlo Cappi

Lei è la donna che preme il grilletto.

Qualcuno muore e la storia del mondo prende un altro corso.

La Seconda Guerra del Golfo si è conclusa, ma la pace è ancora lontana. Tra Londra e Baghdad chiunque conosca la verità sulle armi di Saddam Hussein muore in circostanze sospette.

E Sickrose, l’assassina al servizio di El Almirante, è ancora a piede libero. Mercy Contreras, nome in codice Nightshade, ha ordine di stanarla e ucciderla. Comincia una caccia serrata tra Milano, Buenos Aires, Madrid e Parigi, mentre un oscuro gruppo di potere progetta il proprio nuovo ordine mondiale, da realizzare a qualsiasi prezzo.

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Nightshade: Babilonia Connection:

Rio Paraná, 10 dicembre 2003

Preludio

Il Delta del Rio Paraná è un intrico di fiumi che sfociano nel Rio de la Plata, a nord di Buenos Aires. Questa sera il clima è caldo, umido, opprimente. Sembra di essere nel cuore dell’Amazzonia, più che a pochi chilometri dall’Oceano Atlantico. Case di ogni genere e dimensioni spuntano dalla vegetazione e si affacciano sulle acque color fango, di giorno percorse dal traffico delle imbarcazioni, di notte deserte.

Una di queste case – per ironia della sorte battezzata da uno dei suoi precedenti proprietariLa Niña, ovvero la Bambina – è stata a lungo teatro di orrori indicibili, molti dei quali hanno avuto protagonisti bambini. Quegli orrori sono finiti da tempo, per esaurimento della materia prima: figli sottratti ai desaparecidos, a volte lottizzati dal regime prima ancora della nascita. Figli di oppositori politici che scomparivano in una brutale burocrazia del terrore, meno efficiente ma non meno crudele di quella nazista.  Figli di uomini e donne torturati a morte o gettati in mare da sbirri solerti, a bordo di voli charter senza ritorno. Nipoti di madri della Plaza de Mayo. Creature a cui poteva capitare di tutto, per il semplice fatto che non esistevano. I più fortunati venivano adottati da famiglie gradite al regime. I più sfortunati cadevano nelle mani di Carlos Guerrero.

Proprio in questa casa viveva Guerrero, funzionario dei servizi segreti argentini all’epoca della dittatura militare e della guerra delle Falkland, mercante di minorenni dal 1977 fino ai primi anni Novanta, produttore di snuff movies per un pubblico in cerca di emozioni atroci e infine, a coronamento della propria carriera, luogotenente di Eduardo Contreras. Guerrero è morto l’estate scorsa, quando una donna di Mercedes Contreras, guarda caso proprio la figlia ribelle del suo capo, gli ha sparato a bordo di un elicottero nel cielo di Manhattan.

Da quel momento hanno avuto inizio alcuni dei piani più pericolosi dell’Organizzazione che fa capo a Eduardo Contreras Huerta, alias El Almirante, aspirante dittatore dell’America Latina. E qui, questa notte, potrebbe trovarsi la donna che ora ha preso il posto di Carlos Guerrero: Rosa Kerr, meglio conosciuta come Sickrose.

Dopo la lunga attesa a New York, dopo un’indagine che l’ha portata a rischiare la vita in Italia, è qui che la pista di Carlos Guerrero ha condotto Mercy Contreras, agente della Sezione D della CIA con il nome in codice Nightshade. La base operativa di Sickrose è una casa sul Delta. E qui, se la fortuna sarà dalla loro parte, Mercy chiuderà i conti in sospeso con l’assassina che ha già ucciso tre agenti della Sezione D e che ha portato l’organizzazione di suo padre alla sua più grande vittoria.

Il tempo delle indagini è finito.

È il momento dell’azione.

Mercy sente la voce di Angel via radio. «Sono in posizione.»

Ignora se nella casa ci sia effettivamente Sickrose oppure no: dopo settimane di sorveglianza, Doom non ha saputo darle una risposta. Mercy sa tuttavia che là dentro ci sono le sue vecchie amiche Lupita e Dolores, le due guardie del corpo di Guerrero che Mercy ha affrontato nei mesi precedenti. Se non troverà Sickrose, le costringerà a parlare, fino a scoprire dove si nasconda la sua avversaria.

Dalla radio arriva anche la voce di Doom. «Sono in posizione.» È la sua prima missione, dopo che Sickrose gli ha sparato a New York. Non si sarebbe perso questa occasione per nulla al mondo.

«Qui Torch», segnala un’altra voce. «In posizione.» Questa è la prima volta che il giovane nero proveniente dai Navy SEAL lavora in squadra con Mercy. Lui è l’uomo d’assalto. A Torch spetta il compito di sfondare la porta della casa a colpi di ariete.

Nessuno di loro sa esattamente che cosa troveranno oltre quella porta. Nessuno di loro immagina che l’operazione in corso possa avere a che fare con la ricerca della armi di Saddam Hussein in Iraq e con un attentato in preparazione a Madrid. Tutti si illudono che questo sia il capitolo finale di una sofferta caccia cominciata in primavera a Santo Domingo.

«Qui Nightshade», dice Mercy Contreras. «Andiamo.»

Hazmat

Ho dichiarato nelle conferenze stampa che le armi di distruzione di massa non sarebbero state trovate…
Se fossi stato al posto di Saddam Hussein, le avrei fatte sparire, o distruggendole o mandandole in un altro paese…
Spero che le troviamo. Metterebbe in chiaro le cose.
Ma non sembra una questione così importante.

Silvio Berlusconi, presidente del consiglio italiano, intervista a Time, 28 luglio 2003

1

Un tempo la terra compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, culla delle civiltà assire e sumere che confluirono in quella babilonese, era chiamata Mesopotamia. Sotto il regno di Hammurabi, nel XVII secolo avanti Cristo, in quella terra nacque il primo codice penale della storia, in cui erano contemplate punizioni che andavano dalla mutilazione alla morte per impalamento o sul rogo. Due tecniche, queste ultime, che avrebbero continuato ad avere successo anche nel mondo cristiano pressappoco fino al XVII secolo dopo Cristo.

Babilonia rimase a lungo una grande potenza, sotto i regni di Assurbanipal (o Sardanapalo) e di Nebuchadnezzar II (o Nabuccodonosor), responsabile nel VI secolo avanti Cristo della caduta di Gerusalemme e della distruzione del Tempio di Salomone. Poi Babilonia cadde, prima in mano ai persiani di Ciro II, quindi in quelle dei greci di Alessandro Magno.

Nel Medioevo, la città di Baghdad fu la colta e splendente capitale del mondo islamico, fino all’invasione mongola del 1258. Tornata indipendente, rimase capitale di un piccolo regno, fino a diventare provincia dell’Impero Ottomano. Fu strappata ai turchi soltanto nel 1917, dall’esercito inglese, durante la Prima guerra mondiale.

Ciò che oggi si chiama Iraq (che significa sponda del grande fiume) non esisteva in realtà fino al 1920, quando dietro spinta britannica i tre distretti turchi di Baghdad, Bassora e Mossul furono riuniti sotto questo nome; e con essi una popolazione araba divisa tra sciiti e sunniti, con una netta prevalenza di questi ultimi. A nord i confini inclusero parte del Kurdistan, suddiviso tra Turchia e Iraq: i curdi si trovarono così a essere una minoranza etnica ripartita tra due nazioni e da entrambe perseguitata.

A completare il territorio storico della Mesopotamia mancava una provincia, il Kuwait, rimasto protettorato britannico fino al 1961 e divenuto in seguito sceiccato indipendente, guadagnandosi il ruolo di sesto produttore mondiale di petrolio. I suoi giacimenti petroliferi erano sfruttati da grandi compagnie, tra cui la Kuwait Oil Company, la British Petroleum, la Gulf e la Shell. Il controllo del Kuwait avrebbe significato per l’Iraq aumentare smisuratamente la propria presenza sul mercato mondiale del greggio.

Nel 1979, mentre in Iran il regime filo-occidentale dello Shah veniva rimpiazzato da quello islamico dell’ayatollah Khomeini, a Baghdad saliva al potere Saddam Hussein, leader del Partito Baath (ovvero Resurrezione) e, almeno in apparenza, più interessato alla modernizzazione del paese che alle questioni religiose. Nel 1980 il nuovo dittatore dava inizio a una guerra contro l’Iran, destinata a protrarsi fino al 1988.

Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica lo consideravano una sorta di dittatore illuminato e lo sostennero, ognuno a suo modo. Con la benedizione delle due potenze, entrambe interessate a contenere l’integralismo islamico-sciita iraniano, Saddam si ritrovò a disposizione un possente arsenale di armi chimiche e batteriologiche, e di missili. L’occidente chiuse entrambi gli occhi sull’uso di gas venefici contro l’inerme popolazione curda, attività che garantì al responsabile degli attacchi, Ali Hassan al-Majid, cugino del leader, il soprannome di Chemical Ali.

Ma nell’estate del 1990, prendendo a pretesto l’aumento del prezzo del petrolio e presunti sconfinamenti delle trivelle petrolifere kuwaitiane, l’Iraq invase lo stato vicino, con cui peraltro era indebitato per diversi miliardi di dollari. L’attacco, curioso a dirsi, era stato profetizzato sei anni prima da Hollywood con il film La miglior difesa è la fuga, in cui tuttavia l’invasione era sventata da Eddie Murphy, praticamente da solo, a bordo di un carro armato progettato da Dudley Moore.

Nell’agosto del 1990, all’Occidente non importava che, da un punto di vista storico, il Kuwait potesse essere o meno considerato territorio iracheno. L’importante era il petrolio. La provocazione di Saddam Hussein non poteva essere accettata, né tantomeno si poteva consentire al dittatore iraqeno di assumere il pericoloso ruolo di leader vincente del mondo arabo.

L’ONU condannò immediatamente l’invasione dello stato sovrano del Kuwait e diede inizio all’Operazione Desert Shield, raccogliendo truppe di vari paesi, USA in testa, intorno ai confini dell’Iraq. La prima Guerra del Golfo, la madre di tutte le battaglie secondo un troppo ottimista Saddam Hussein, ebbe inizio il diciassette gennaio 1991 con una serie di attacchi aerei su Baghdad, seguiti il ventiquattro febbraio dall’Operazione Desert Storm, l’offensiva terrestre. Kuwait City venne liberata in quarantott’ore. L’avanzata americana del generale Norman Schwartzkopf si interruppe tuttavia il quarto giorno: formalmente, l’operazione si riteneva conclusa dopo la liberazione della nazione invasa. In realtà, il presidente George Bush senior non poteva permettersi di abbattere Saddam Hussein: nessuno avrebbe potuto prenderne il posto come baluardo anti-iraniano.

Ma dodici anni più tardi il figlio e successore di quel presidente, George Bush junior, decise che finalmente di Saddam, ormai fortemente indebolito, si poteva anche fare a meno.

Sull’onda della Guerra al Terrore seguita all’Undici Settembre, che aveva portato alla vittoriosa guerra in Afghanistan (e a un meno vittorioso dopoguerra) e con il pretesto del possesso da parte del dittatore iracheno di armi di distruzione di massa, il diciannove marzo 2003 il presidente diede inizio alla seconda Guerra del Golfo, che un mese dopo avrebbe portato alla caduta di Baghdad. Il primo maggio George W. Bush dichiarava che la guerra era finita.

«Missione compiuta», disse.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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