Roberta Mullini è nata e abita a Imola. Ma ha viaggiato molto su e giù per l’Italia, quando – dopo tanti anni all’università di Bologna (dove si laureò una vita fa in Lingue e Letterature Straniere) – ha dovuto lasciare questa città per lavorare nelle sedi per cui, di volta in volta fino all’ordinariato nel 1990, aveva vinto un concorso. E così se n’è stata quasi tre anni ad Arezzo, tre a Messina, tre a Pescara e molti di più a Urbino.
Si può dire che ha fatto un tour scendendo lungo il mar Tirreno sino a vedere lo Ionio, e risalendo lungo l’Adriatico. Ha sempre insegnato Letteratura Inglese (con l’aggiunta negli anni più recenti anche di Lingua Inglese), specializzandosi in dramma e teatro. Sì, due termini perché nell’ambito della cultura di lingua inglese sono due cose diverse (nel primo sono compresi i testi, i grandi autori e autrici, per intendersi; con il secondo la rappresentazione, quindi teatri, attori, registi…).
Proprio per questo ha spesso convinto i suoi studenti a seguirla in imprese un po’ folli, cioè l’allestimento teatrale, appunto, di qualche dramma che figurava nei programmi d’esame. E gli studenti hanno sempre risposto molto positivamente a queste provocazioni e con entusiasmo hanno recitato (per lo più in inglese, e quasi mai contemporaneo, quindi con maggiori difficoltà anche solo nel ricordare i testi) dai copioni che lei stessa preparava di volta in volta. Sono state occasioni coinvolgenti, e non solo per gli studenti, ma anche per le loro famiglie: chi ospitava in casa propria tutto il gruppo per le prove (e rinunciava alle piantane del salotto per offrire un sembiante di giochi di luce); chi andava al mercato per comprare stoffe per i costumi pagati con una piccola cifra di autotassazione; chi cuciva i costumi stessi o, come una nonna di Pesaro, una indimenticabile pecorella che servì per la messinscena di un dramma medioevale; chi si improvvisava trovarobe; chi suonava il pianoforte o la chitarra per le musiche di scena; chi filmava gli spettacoli e chi ne scattava foto, chi teneva dei brevi laboratori teatrali, perché – è fondamentale dirlo – nessuno degli studenti era attore… Insomma una joint venture autogestita a tutti gli effetti, che è servita nel tempo a creare legami duraturi tra i partecipanti.
Ma ora, dopo ben oltre “quarant’anni di duro insegnamento” (come diceva il professor Aristogitone, favoloso personaggio di Arbore e Boncompagni che qualcuno con anni sulle spalle ricorderà) è in pensione, ed è diventata piuttosto pigra, dopo tanto viaggiare. E ha più tempo per leggere, ma anche per scrivere. La passione per la ricerca, che fu la molla a intraprendere l’insegnamento universitario, per ora continua (ma forse perché è l’unica cosa che sa fare: non è molto brava nei lavori a maglia, né in cucina, lo ammette, e non ci sono nipotini).
Nel tempo ha pubblicato vari volumi e articoli e, a quanto pare, non ha ancora finito, visto che per la Oakmond è uscito un suo lavoro sulla poesia inglese della Prima Guerra Mondiale, indirizzato, come si suol dire in certi casi, a un pubblico intelligente, non necessariamente specialistico, ma che ama ancora leggere dal titolo Più del bronzo.