X Zero

X Zero di N. Milesi

Arte, Eros e Thanatos in una vita sempre al limite.

Giovane, bello, dannato, cinico e nichilista, Charlie, è un affermato ed eccentrico curatore e critico d’arte. Spirito libero, refrattario al sistema e ai sentimentalismi, fedele al motto carpe diem, vive all’insegna del piacere.

La sua vita viene d’un tratto stravolta da una serie di eventi devastanti e tragiche fatalità che sovvertono il suo futuro e le sue scelte, ma la sua esistenza viene profondamente sconvolta solo quando, per caso, incontra Roxanne. La donna è una brillante graphic designer e lui ne è rapito, ammaliato e diabolicamente sedotto. Con quel fortuito incontro, per Charlie ha inizio un viaggio liminale, perché ciò che accade sarà la sua rovina e la sua salvezza, la sua pace e il suo tormento, la sua fine e il suo principio. E così inizia a muovere le sue pedine sulla scacchiera dell’esistere fra bagliori e oscurità, in cui arte e scienza, mito e realtà, dubbio e verità, sesso e amore, vita e morte si intrecciano e convivono in un macabro e seducente gioco d’ombre.

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X Zero:

PROLOGO

Era così bella! Entusiasta, luminosa, irriverente nella sua spontaneità, affascinante e maledettamente piena di vita. Io l’ascoltavo senza intervenire, rapito dal suo sguardo vivace e ipnotizzato dalle modulazioni della sua voce. Poi tutt’a un tratto si interruppe, puntò il suo sguardo felino nei miei occhi e mi penetrò l’anima. Quindi mi chiese:

«Sicuro di star bene? Mi sembri provato.»

«Ho avuto giorni migliori, ma ora va meglio. Molto meglio. Ma tu continua, ti prego, mi piace ascoltare il suono della tua voce, è un balsamo per i miei sensi.»

Non so perché lo dissi, mi uscì così, senza pensarci. Lei cambiò espressione, sul suo volto si dipinse la luce. Divenne eterea, invasa da un’aura di mistero e senza che avessi il tempo di rendermene conto mi si avvicinò e iniziò a baciarmi. Fu un bacio travolgente, dolce come il miele, caldo come il sole in estate, voluttuoso ed eterno. Questa volta fu lei a spogliarmi e a spogliarsi. Sentivo le sue mani sfiorare la mia pelle e generare brividi pungenti come spine aguzze. Sentivo i miei muscoli inturgidirsi e fremere. Le mie mani immobili tremare. Il mio respiro venir meno. Ero a tal punto confuso e stupito che la lasciai fare. Mi abbandonai ai sensi e al tepore del suo corpo conturbante. Mi lasciai possedere. Ero in balia di sensazioni indomabili e sconvolgenti tali da rendermi inerme, completamente incapace di reagire. Mi parve di vivere in un sogno. Trasportato in uno spazio oltre, senza tempo, sospeso in una dimensione altra, chiusi gli occhi e mi abbandonai. Giunsi a credere di essere morto e risorto in un lido celeste.

Ero sul bordo del buio ma pervaso da una luce abbagliante, quando improvvisamente Roxanne si irrigidì senza un motivo, si scostò da me, mi guardò fissa negli occhi, con uno sguardo languido, smarrito e turbato, poi disse:

«Scusami Charlie, ma non posso, non devo… dobbiamo parlare…»

Io rimasi annichilito, allibito e al contempo incredulo. Come era possibile un tale cambio repentino di umore e di situazione? Parlare? E di cosa? Ma perché? Non era forse già stato tutto chiarito? Pausa a effetto. Perfetto, un certo effetto sicuramente l’aveva ottenuto. A quel punto lo smarrito ero io. La guardavo disarmato. Così vicina eppure così distante. Era nuda, statuaria come una dea greca, bella da perdere il fiato, una visione angelica, irraggiungibile. Io invece ero nudo della mia stessa pelle, con i nervi scoperti. Non sapevo cosa fare, né cosa pensare. Stallo totale. Fermo immagine.

Forse avrei dovuto dire qualcosa, ma non sapevo cosa dire e immaginavo benissimo cosa avrebbe pensato se non avessi aperto bocca. Mi sforzai per emettere un qualsiasi suono, ma niente. Il mio cervello era in blackout, corto circuito istantaneo e irreversibile. Allora mi schiarii la voce per prendere tempo. Il suo sguardo si fece severo. Mi stava rimproverando con il pensiero, era evidente. Io stavo temporeggiando e questo non lo sopportava. In realtà l’unica cosa che avrei voluto fare era stringerla a me.

 Lei sempre immobile si fece cupa. Il suo sguardo fisso nel mio. Stava aspettando una mia reazione. Allora feci l’unica cosa che so fare davvero bene. Mi avvicinai a lei, incollai i miei occhi ai suoi e la baciai dolcemente avvolgendola in un abbraccio viscerale. Lei rimase rigida, ma poi cedette e mi assecondò. Sentivo il calore del suo corpo, il suo respiro divenire il mio respiro, la sua pelle calda, il suo profumo seducente e mi lasciai trasportare ancora una volta dai sensi estasiati. Cosa c’era da dire?

La parola è sopravvalutata, ne sono sempre stato convinto. Le accarezzai la curva della vita, per inoltrarmi sotto la linea immaginaria dell’equatore verso il Triangolo delle Bermude. Percepii l’ardore e l’umidità dei tropici, il profumo di muschio e di fragole, il soffio vitale divenire tiepida brezza. La stanza scomparve, eravamo solo io e lei in un connubio inscindibile, mentre la realtà scivolò via risucchiata in un vortice di sabbia. Mi lasciai trascinare in quel turbinio di emozioni, in un vagabondare fra le onde schiumose di un mare placido e iniziai a volare sulle ali del cielo, per planare su di un’isola sperduta nello spazio, quando lei all’improvviso si bloccò e disse:

«No, Charlie fermati. Non possiamo. Dobbiamo parlare. Io devo sapere…»

E si scostò da me, di nuovo.

Ci risiamo, pensai. Dovevo prevederlo? Forse. Ma perché le donne complicano sempre tutto? Stavamo andando bene. Perché negarci attimi di beatitudine celestiale? Perché non bere sino all’ultima stilla quei pochi calici di nettare inebriante che l’avara vita ci concede?

Poi si allontanò, cercando con lo sguardo i suoi vestiti sparsi sul pavimento e iniziò a vestirsi. Io rimasi lì, pietrificato dallo sguardo di Medusa. Seguirono interminabili istanti di silenzio che sovrastarono ogni rumore confinandolo nei meandri della percezione. Un silenzio imbarazzante, sordo, bastardo, fastidioso come le ragnatele sulla pelle. Mi sentivo isolato, confinato nella terra di mezzo incapace di varcare il sottile confine fra il mondo dei vivi e il mondo delle ombre. Stavo lì, sul bordo del buio in un’attesa statica, priva di suoni e di colori. Mentre lei era invasa da una luce accecante.

Roxanne era terribilmente bella, di una bellezza disarmante, non banale o artefatta, ma assolutamente autentica, schietta e incredibilmente carnale. E io ne fui rapito, ammaliato e diabolicamente sedotto.

Tutto ebbe inizio cinque mesi fa.

Ricordo con estrema chiarezza il giorno in cui le nostre vite casualmente si incrociarono e accadde ciò che non avevo previsto, neanche lontanamente immaginato potesse succedere, nemmeno negli incubi più atroci e neppure nei desideri più reconditi. Perché ciò che avvenne fu la mia rovina e la mia salvezza, la mia pace e il mio tormento, la mia fine e il mio principio.

I
Serendipità

Era un giorno qualunque di un mattino di marzo inoltrato. Il sole tiepido risaliva da est, l’aria era frizzante e nitida. Avevo un urgente bisogno di caffè, la testa mi scoppiava. Con me c’era Bruce, nemmeno lui era in forma. Camminavamo da un paio d’isolati, io davanti con passo svelto, lui dietro mi seguiva senza aprir bocca. Non avevo una meta precisa, solo un obiettivo: spararmi una dose massiccia di caffeina in gola. Qualsiasi locale poteva andare bene, non avevo preferenze al riguardo. Mi lasciai semplicemente guidare da una febbrile inerzia. Finalmente sulla destra, all’angolo intravidi un’insegna: CAFFÈ. Ero salvo, pensai. Entrammo senza esitazioni. C’era il solito brusio di voci ma la colonna sonora di sottofondo non era niente male. Era un bar anonimo, niente di eccezionale, eppure la musica non era la solita commerciale trasmessa da una emittente radiofonica qualunque. Un brano di Sade, la mitica indiscussa regina del soul e del jazz, e il magnifico pezzo era Please send me someone to love. Mi sono sempre chiesto se il titolo si riferisse a una supplica o a una minaccia. Per favore mandami qualcuno da amare. Che assurdità! Perché mai volere qualcuno da amare? L’amore è una palla al piede, un impedimento, una prigione che ti incatena a un essere altro e ti fa schiavo. Un sentimento a me alieno, che non avevo mai provato e che schivavo con destrezza. E non ero certamente l’unico a pensarla così.

Ricordo ancora le parole che un giorno mi disse la povera vecchia Betty, la bibliotecaria del college di Oxford. Era un pomeriggio di un autunno senza colori, bigio e assonnato. Mi ero attardato in biblioteca nella lettura del Volume 7, La Part maudite, di Georges Bataille, e non mi ero accorto del trascorrere del tempo. Ero rimasto solo poiché l’orario di chiusura era passato da un pezzo, quando lei con passo felpato si avvicinò con discrezione. Fu allora che alzai lo sguardo e la vidi. Era una donna minuta e gentile, credo avesse almeno una settantina d’anni o forse più, dal sorriso dolce e delicato. Solo in quel momento mi resi conto dell’ora tarda e non esitai a scusarmi.

«Non ti preoccupare Charlie, eri così assorto nella lettura che non osavo disturbarti. Io non ho fretta, ma tu dovrai prepararti per la serata, la tua ragazza ti starà aspettando.»

«Nessuna ragazza mi sta aspettando.»

«Meglio così Charlie, meglio così. Un bel ragazzo come te… chissà quante spasimanti avrà. Dammi retta, goditi la vita fin che puoi, ma non innamorarti mai.»

Disse quelle parole scandendo per bene l’ultima frase, come se volesse accertarsi di essere capita. In effetti insinuò in me una certa curiosità.

«E perché non dovrei innamorarmi mai?»

«La fase dell’innamoramento dura giusto il tempo necessario per farti commettere una serie di sciocchezze e di scelte insensate di cui, una volta riacquisita la lucidità, ti pentirai per il resto dei tuoi giorni. Io ne so qualcosa al riguardo, ma non voglio disturbarti oltre.»

A quel punto ebbe tutta la mia attenzione.

«Nessun disturbo anzi, se per lei non è un problema, sia ben inteso, mi piacerebbe sentire il seguito.»

«D’accordo Charlie. Visto che entrambi non abbiamo impegni, ti ruberò pochi minuti per raccontarti la mia storia. Quando conobbi mio marito, ero una ragazza giovane e ingenua. Invasata dalle letture di romanzi struggenti che parlavano d’amore e lo descrivevano come la panacea di tutti i mali. E come molte altre ragazze ne rimasi irretita. Ero follemente innamorata di lui, un giovane affascinante di bell’aspetto, gentile e premuroso. Quando mi propose di divenire sua moglie, in un eccesso di zelo, acconsentii senza nemmeno pensarci. Sapevo del suo forse unico difetto, ma in quel frangente non me ne importò, non diedi importanza alla cosa, lo considerai un dettaglio trascurabile e lo sposai.»

«Se non sono troppo indiscreto, posso sapere a quale difetto si riferisce?»

«Russava per Dio! Russava in un modo inaudito. Come un maiale impazzito. Iniziava con un sibilo acuto, seguito da uno sbuffo e poi quel grugnito profondo e assordante in un crescendo continuo. Dal tramonto all’alba, ogni santa notte di ogni benedetto giorno. Le provammo tutte, ma non ci fu nulla da fare. Consultammo specialisti, si sottopose a cure, a svariate terapie, ma senza alcun successo. Anzi, la cosa andò via via peggiorando nel tempo. Io non riuscivo più a chiudere occhio. Ero esasperata. Sperimentai ogni sorta di rimedio per cercare di resistere. Mi mettevo i tappi nelle orecchie e me le riempivo di ovatta, mi imbottivo di sonniferi, mi trasferii nella camera degli ospiti, ma tutto fu vano. Persino i vicini iniziarono a lamentarsi. Non dormii per anni, sino a che sopraffatta dalla disperazione una notte mi sorpresi nel buio della camera doveva dormiva, china su di lui con in pugno un coltello affilato da cucina pronta a conficcarglielo in gola. E Dio solo sa se non lo avrei fatto. Lo volevo sgozzare, come un porco. Poi rinsavii e desistetti.»

«Per la miseria! Ma perché non avete semplicemente divorziato?»

«A quei tempi, ragazzo mio, divorziare era uno scandalo. Ne andava della mia reputazione. Del resto, lui era un brav’uomo e ammettere davanti a un giudice che la ragione per cui volevo mettere fine al nostro matrimonio era dovuta al fatto che lui russava mi bloccò. Mi sentivo ridicola e non lo feci.»

«Quindi?»

«Quindi ho trascorso trent’anni della mia vita sull’orlo della pazzia. Di notte non chiudevo occhio e di giorno ero completamente tramortita con i nervi a fior di pelle. Fino a che un santo giorno sulla strada di casa, lui fu investito da un furgone. Morto sul colpo. Pensa il caso, era un furgone che trasportava maiali destinati al macello. Se ne è andato fra i mille grugniti di quei poveri animali che strillavano come ossessi a seguito dell’impatto.»

«Oh mio Dio!»

«Da quel giorno ho ricominciato a vivere, ma ormai i migliori anni della mia vita se n’erano andati! Dovrebbero inventare un vaccino contro l’innamoramento o impedire alle persone innamorate di compiere atti di natura permanente. Questo dovrebbero fare!»

E dopo aver asserito quella lapidaria sentenza si allontanò silenziosa, così come si era avvicinata. Io rimasi interdetto per qualche minuto, riposi il volume al suo posto e me ne andai di soppiatto.

In ogni caso, titolo escluso, Please send me someone to love, non era musica ordinaria. Ci avvicinammo al banco e prima che la barista ce lo chiedesse fui io a dire:

«Salve, un caffè doppio, nero, forte, molto forte, un bicchiere d’acqua per me e… tu Bruce?»

Bruce non credo avesse mal di testa ma in compenso era incazzato con me.

«Un caffè normale per me!» rispose quasi seccato.

C’era molta gente, sembravano tutti così terribilmente felici. Perché mai? Al mattino presto e senza nemmeno un drink alcolico da sorseggiare, non era ragionevolmente giustificabile alcun atteggiamento che fosse anche solo vagamente ilare. Sbigottito e attonito li osservavo. Si salutavano animatamente, si baciavano, si abbracciavano, qualcuno stava ridendo sguaiatamente. Tutto quell’insensato rumore mi stava irritando. Non fosse stato per Sade me ne sarei sicuramente andato. Bruce continuava a stare zitto e imbronciato. Meglio così convenni. Non mi andava di sentire le sue lagnanze.

Bruce ed io occasionalmente facciamo sesso. A me sta bene a lui pure. Comunque, non sono gay o omosessuale che dir si voglia. Se lo fossi non avrei alcun problema ad ammetterlo, anzi ne andrei fiero. Mi sentirei fortunato per il vero. Ho sempre pensato che le donne siano troppe complicate, celebrali, logorroiche e anche un filino masochiste. In realtà non ci provavo nemmeno a capire la psiche femminile e il contorsionismo dei loro pensieri, ritenevo che un tale esercizio non fosse altro che una colossale perdita di tempo. Con gli uomini invece è sempre stato tutto più immediato. Credo sia una questione di puro istinto. Ci lasciamo facilmente trasportare dagli impulsi primordiali con l’unico scopo di godere. Sentire il profumo di sesso e farsi intorbidire i sensi, è come respirare napalm di mattina e odorare la vittoria. Niente complicazioni e zero conseguenze.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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