Scritto nel sangue

Scritto nel sangue di Manlio Palena

E se fosse l’abisso a guardarti dritto negli occhi?

Lisbeth, aggrappata con le unghie al grande albero scruta il cielo aspettando la sua vittima.

Guarda l’orizzonte in attesa dell’aereo che deve arrivare da Lisbona, e prima ancora da Parigi. Da Londra. Toronto. New York. Boston. Dallas. Albuquerque. Tappe dolorose di un sentiero lastricato di sangue e sofferenza.

Lisbeth è stata Nora, una donna luminosa, finché non incontra Bobby, un uomo oscuro, mosso da cupi istinti primordiali risvegliati da lui, il Demone. Dalla sua visuale di eterno spettatore nascosto nell’ombra, il Demone segue ogni loro passo, accompagnando Nora e Bobby verso un epilogo inaspettato.

Cacciatore e preda. Ma chi dei due è davvero il cacciatore e chi la preda?

Acquista qui – Formato Kindle – Copertina flessibile

Comincia a leggere qui gratuitamente l’incipit del libro
Scritto nel sangue:

Prologo

Le sagome scure riempivano lo spiazzo al centro della radura circondata da una fila di alberi serrati, che a causa dell’oscurità davano l’impressione di essere fusi l’uno con l’altro.

Tra il fogliame compatto non si distingueva alcun sentiero, né l’ombra di un passaggio. Alla luce del lampo, l’anfiteatro naturale sembrava un muro imponente, uniforme.

Il vento giunse senza preavviso, cominciando a scuotere le cime. L’enorme barriera verde iniziò a tremolare, prima in maniera impercettibile, poi sempre più forte. Il cielo scuro si picchiettò di punti più chiari. Le gocce cominciarono a bagnare gli alberi, la terra secca, l’erba giallastra e rada.

I corpi erano immobili, disposti in cerchio, congelati in posizioni diverse, grottesche, sgraziate. La pioggia li colpiva da diverse angolazioni. Il sommesso ticchettio sui pesanti mantelli era coperto quasi del tutto dal brontolio del vento.

Un cerbiatto spaventato uscì dal sottobosco. Correva procedendo con andatura irregolare, il muso sfigurato dal terrore, gli occhi spalancati, le narici dilatate. Si fermò ruotando su se stesso, volgendosi verso i cespugli da cui era sbucato. Nessun movimento si percepiva oltre gli alberi. L’animale alzò il capo annusando l’aria. Il manto, bagnato dalla pioggia, fremeva. Attese qualche istante. Poi l’immobilità del bosco cominciò a rassicurarlo.

Si guardò intorno con circospezione e notò le figure. Si avvicinò cautamente cercando di percepire un eventuale pericolo. Arrivato in prossimità della prima sentì l’odore fino ad allora mascherato dai profumi del bosco e della pioggia. Un odore dolciastro che conosceva bene. Che temeva.

Drizzò le orecchie. Un rumore sordo proveniva dal lato opposto da quello da cui era arrivato. L’animale rimase interdetto per qualche secondo. Annusò ancora una volta l’aria. I suoi piccoli occhi cominciarono a saettare in tutte le direzioni alla ricerca di una via di scampo. Poi scattò e riprese a correre infilandosi nello stesso cespuglio.

La radura tornò nell’immobilità assoluta, mentre la pioggia continuava a cadere sull’erba, sulla terra nuda, sulle foglie, sui corpi immobili. Scivolava sui loro fianchi trascinando con sé i loro peccati mescolati al sangue.

Passò qualche minuto.

Le fronde sul lato settentrionale si mossero. All’improvviso, proprio in quel punto ci fu un bagliore. La luce, quasi accecante, si attenuò lentamente fino a scomparire. Al suo posto, dove prima c’erano solo alberi, si materializzò dal nulla una struttura che sembrava emergere dalla barriera verde. Una lunga pietra piatta della lunghezza di circa cinque metri, dalla forma regolare, quasi levigata. Una sorta di piedistallo su cui era appoggiato un manufatto alto tre metri e largo uno.  Sembrava un grande specchio, ma in realtà era più simile a una porta. Sottili increspature davano l’impressione che qualcosa o qualcuno fosse in procinto di attraversare il varco. Tenui scariche di energia ne percorrevano lo spazio.

Un altro bagliore, dello stesso colore azzurrognolo del precedente ma di intensità e durata maggiore. Proprio mentre la luce stava per scomparire, una figura scura si materializzò dal nulla rimanendo ferma sul margine dello spiazzo, ancora in parte nascosta dall’ombra proiettata dai cespugli.

Un lampo esplose nell’aria proprio sopra la radura. Un attimo dopo arrivò il tuono. La figura rimase immobile. Il pesante mantello nero e il cappuccio calato sul volto non ne lasciavano intravedere la sagoma. A prima vista sembrava un uomo, in particolare per la corporatura che si intuiva eccezionale, ma anche per la postura.

Tornò la penombra.

In quel preciso momento la figura cominciò a muoversi. Raggiunse i corpi e si fermò al centro del cerchio. Alzò il capo verso l’alto scoprendo in parte il volto.

Sapeva di essere sola, che la vita era lontana da quel luogo.

Nessuno vide il naso aquilino, gli occhi scuri, la profonda cicatrice che gli attraversava il mento e saliva oltre la metà della guancia destra. Allargò le narici traendo un respiro profondo. Poi, con un gesto repentino abbassò la testa che tornò a scomparire sotto il cappuccio.

Dopo qualche istante si accucciò a terra confondendosi tra le sagome e muovendo lentamente le braccia in una sorta di macabra danza pagana. Iniziò ad accarezzarle cominciando da quella di fronte e spostandosi verso sinistra, finché non ebbe stabilito con tutti un contatto fisico.

I corpi erano sfigurati. Uno era irriconoscibile per le ferite, un altro aveva la testa quasi staccata dal collo. Tutti portavano addosso i segni delle offese che li avevano condotti a una morte orribile.

Terminato il rito stese le braccia davanti a sé. Un altro lampo accese il cielo illuminando la scena a giorno. Di nuovo un tuono risuonò con grande fragore. Le mani del Demone erano sporche di un liquido rosso, denso, che colava lungo le dita, attraversava i palmi lasciando scure strisce irregolari e scompariva nel buio delle maniche. Le avvicinò al volto e se le strofinò con vigore sulle guance imbrattandole di sangue. Poi iniziò a tremare. La luce del lampo era ormai scomparsa del tutto e la penombra si era di nuovo trasformata quasi in tenebra.

Alzò le braccia al cielo, le maniche si abbassarono fino al gomito lasciando scorgere dei segni incomprensibili vergati sulla pelle. Alcuni in rilievo.

La pioggia diventò torrenziale. Ancora un lampo. Un tuono. Il cappuccio gli cadde sulle spalle scoprendo la testa rasata, lo sguardo feroce.

Le sei creature orribili lo avevano nutrito per l’ultima volta. Doveva cercare nuovi carnefici. Nuove vittime. Rimettersi in cammino.

Alzò ancora una volta il capo verso il cielo illuminato dai riverberi della saetta che stava morendo. Poi tornò il buio. Sempre più profondo.

L’ombra inghiottì i suoi occhi, la sua figura, la radura, il bosco. Ma non riuscì a contenere il suo urlo bestiale.

1

Un anno prima

Il sole stava calando. Si dirigeva lentamente verso la linea disegnata dall’oceano lungo l’orizzonte.

Da alcuni minuti i suoi occhi ne seguivano la discesa. Ormai abituata alla luce del tramonto e ai giochi di luce che creava sull’acqua, aveva tolto la mano indolenzita che teneva appoggiata sulla fronte.

Da circa un’ora era appollaiata sul ramo basso di un albero sempreverde cui si teneva con entrambe le mani. Era un bellissimo esemplare di Laurus Azorica, di circa una ventina di metri, parte di una lunga fila di alberi simili che crescevano in abbondanza lungo la costa dell’isola.  Alcuni erano così alti da nascondere alla vista la scogliera cui facevano da orlo.

Mentre cercava un comodo posto di osservazione si era rotta un’unghia laccata e sporcata di resina le mani e gli shorts color sabbia.

Quella mattina, quando si era vestita li aveva abbinati a una t-shirt bianco pallido, impreziosita da strass color argento che componevano la scritta I’m the world. Sotto la scritta, campeggiava un globo stilizzato, intessuto di filo blu. Al suo interno i continenti erano sostituiti da macchie glamour multicolori. Poco realistico, molto d’effetto.

Il suo abbigliamento in realtà era casuale. Appena scesa dal letto indossava le prime cose che trovava.

Realismo. Effetto. Nella vita Lisbeth dava più importanza al primo che al secondo.

L’albero che quel giorno aveva eletto come punto d’osservazione ideale, si sporgeva sull’oceano dall’alto di una scogliera a picco. Si affacciò a guardare in basso e valutò per alcuni istanti l’esito di una caduta. Non le avrebbe lasciato alcuna speranza. E così non avrebbe visto l’alba successiva. L’alba del giorno più importante della sua seconda vita. Forse l’ultima.

Un sorriso amaro le increspò le labbra. Dal primo maledetto istante in cui era iniziata la sua seconda esistenza Lisbeth aveva cominciato a cadere. E da allora precipitava, senza fermarsi.

Cadeva, sapendo che presto o tardi avrebbe incontrato il suolo e che in quel preciso istante tutto sarebbe finito. Sperava solo di avere il tempo per chiudere i conti.

Tirò indietro la testa e si addossò al tronco dell’albero. Strinse forte le mani attorno al ramo su cui era seduta, fino a conficcare le unghie nel legno morbido, umido. Poi tornò a scrutare l’orizzonte.

Dall’oceano arrivava una brezza fresca, piacevole, che le accarezzava le guance, rendendo dolci i raggi del sole morente che le dardeggiavano sulla pelle, filtrando tra i rami. Le cime degli alberi si agitavano seguendo il ritmo del vento. Il cielo sembrava un circuito automobilistico, su cui le nuvole si inseguivano senza sosta. Apparivano alla sinistra del suo campo visivo e sparivano alla sua destra. Nel frattempo, si allungavano e si sfilacciavano, cambiando forma di continuo. Sotto le nuvole l’oceano era una tavola quasi uniforme, increspata qua e là dalla corrente. Spruzzi di spuma bianca ne interrompevano l’immobilità, mentre il colore azzurro lasciava poco alla volta il posto a tonalità più scure, quasi dorate. Il riverbero del sole sull’acqua dava al panorama la qualità artistica di un dipinto del realismo paesaggistico francese dell’Ottocento.

Uno sguardo diverso ne avrebbe apprezzato il valore sentimentale e si sarebbe perso in quella prospettiva infinita. Lei stessa, in passato, sarebbe riuscita a godere di queste emozioni.

Era stata una inguaribile romantica. Poi la vita l’aveva cambiata. L’aveva resa più dura, disillusa, diversa. I segni che le aveva lasciato sul corpo e quelli che le erano rimasti scolpiti dentro erano lì a ricordarglielo ogni dannato momento della sua seconda dannata vita.

Prima di allora Lisbeth non esisteva.

Era il tempo di Nora Faber. Moglie devota, madre orgogliosa, necessaria ad altri, attesa, desiderata, rimpianta. Parte integrante di una famiglia felice, tassello perfettamente incastrato in una comunità modello, viaggiatrice di una vita lineare, senza scosse e senza pericoli. Ascoltava i drammi che uscivano dai telegiornali come fossero storie di fantasia, lontani da lei e dalla sua vita perfetta. Le semplici frasi che ripeteva a se stessa le facevano da scudo contro il mondo e le permettevano di condurre un’esistenza serena e felice.

«A me non potrebbe mai accadere

«L’uomo nero abita lontano da qui

«Sì, poveretti, ma se è capitato a loro magari ci sarà un motivo

Nulla riusciva a scalfire la sua felicità. Nulla le faceva pensare che la sua vita potesse diventare diversa.

Fino a quel giorno. Maledetto, orribile, bastardo. Il giorno che cambiò tutto. Senza preavviso. Cambiò la prospettiva e la sostanza. La luce che illuminava il suo cammino sparì e con il buio arrivò l’incubo. Nel trascorrere di pochi istanti tutte le tessere del puzzle, inserite a fatica ognuna al suo posto, andarono in frantumi.

Fu in quel momento che Nora morì per sempre. La sua anima diventò tabula rasa, i suoi occhi persero la luce. Ma la vita restò aggrappata al suo corpo annichilito. Dalle ceneri ancora calde risorse fenice, trasformata in qualcosa di diverso.

Il mondo era cambiato. Era diventato quello di Lisbeth Albuquerque.

Il nome era quello che aveva immaginato da bambina, quando sognava un’esistenza avventurosa. Il cognome ricordava il posto dove era nata e aveva vissuto. Dove era stata felice. New Mexico. Stati Uniti. Lei era parte di un disegno, di un immenso dipinto. Era una delle sagome sullo sfondo, ma c’era. Una delle cinquecentomila anime aggrappate alle sponde del Rio Grande. Albuquerque. Immagine della felicità per Nora, abisso di orrore per Lisbeth.

Il luogo dove tutto era cominciato, finito e cominciato di nuovo.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

Acquista qui – Formato Kindle – Copertina flessibile

I libri di Manlio Palena