Non è un paese per buoni

Non è un paese per buoni di Rocco Ballacchino

Un giorno di ordinaria follia che spinge anche i più buoni a mostrare il loro lato oscuro.

Marco Borghi e Angelo Lombardi sono due colleghi con la stessa irrefrenabile ambizione: diventare il responsabile commerciale per il Nord-Ovest dell’azienda in cui lavorano da anni. Il primo è un arrampicatore sociale senza scrupoli, il secondo un ingenuo che pensa di aver diritto a quel posto grazie ai risultati ottenuti nell’ultimo periodo. Il primo ha un’amante fissa e una bella e ignara moglie, mentre il secondo vive un’esistenza avara di relazioni intime e sociali.

Il mondo non appartiene però ai buoni e Angelo scoprirà, sulla sua pelle, a cosa può arrivare un uomo pur di sconfiggere un concorrente.

Sarà l’inizio di una battaglia senza quartiere in cui in cui il male oscurerà il bene. Un solo giorno segnerà per sempre il destino dei protagonisti, comparse comprese, di quella vicenda che si svolge sullo sfondo di una Torino cupa e indifferente.

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Non è un paese per buoni:

La delusione

Interno, appartamento – Ore 7:30

Marco Borghi si svegliò un quarto d’ora prima del solito, anticipando il resto della famiglia.

Aveva dormito male perché non riusciva a chiudere occhio, vittima di una botta di adrenalina troppo forte per il suo sistema nervoso.

Verificò, tramite un’applicazione che aveva installato sul suo smartphone, la quantità di ore di sonno profondo registrate su un grafico a saliscendi, come quelli borsistici che tanto lo esaltavano o deprimevano a seconda delle giornate.

Ancora nel letto, osservò il soffitto della camera e provò ad anticipare con la fantasia il resto di quella giornata speciale.

Inaspettatamente gli venne duro anche se non gli scappava da pisciare.

Duro come il marmo.

Si girò verso la moglie, ancora addormentata, per provare a capire se quell’erezione fosse a lei destinata, ma la sua mente gli suggerì una diversa possibilità. Era eccitato perché lui ce l’aveva fatta, o quasi.

Dopo qualche secondo si alzò e andò in bagno.

Ammirò la propria immagine riflessa nell’enorme specchio posizionato sul lavabo e scambiò, con se stesso, uno sguardo ammiccante.

Si piaceva, si era sempre piaciuto, sin dal momento in cui aveva acquisito piena coscienza del suo sé.

Poi parlò, cercando di non elevare troppo il tono di voce.

«La ringrazio signor Morelli per la vostra…. La vostra considerazione e… Sono sicuro che farò il bene dell’azienda nello sviluppo del nostro… Del nostro marchio e nell’ampliamento della competitività dei mercati che… Che… Cazzo ne so dei mercati.»

Se l’era preparato a lungo il discorso di ringraziamento per la promozione a responsabile commerciale per il Nord-Ovest della sua azienda e adesso, nella prova sul palcoscenico del suo cesso, non gli uscivano fuori le parole giuste.

Qualche ora dopo sarebbe stato diverso, almeno sperava.

«Alle beate facce da cazzo dei miei colleghi invece voglio dire una cosa» sbraitò sempre rivolgendosi verso lo specchio delle sue brame, «una cosa soltanto che mi viene dritta dal cuore, una cosa che mi preme vomitare sulle vostre facce ebeti da tempo immemore: SU… CA… TE… ME… LO!»

Poi si mise a ridere sguaiatamente e afferrò la schiuma e la lametta da barba.

Non ci sarebbe stata traccia di peli sul suo viso. Sapeva che il Grande Capo detestava gli uomini barbuti e lui si sarebbe depilato anche total body pur di non deluderlo.

«Ti vedo carico» commentò la moglie di Borghi, passandogli accanto qualche istante dopo che ebbe terminato di radersi.

«Sì vede tanto?»

«Nooo… A parte il tuo amico così allegro già di prima mattina e quel sorriso idiota che hai stampato in faccia, tutto il resto mi pare normale.»

Monica aveva notato l’erezione perenne del marito e non aveva perso l’occasione per farglielo notare. Con lei non capitava così spesso.

«Soffrirò di priapismo?» domandò alla madre dei suoi figli.

«Pria… Che?» gli restituì la donna.

«È un’erezione persistente e involontaria, a volte anche dolorosa. È l’opposto della disfunzione erettile, se ti può interessare.»

«Tranquillo, non penso sia il tuo caso.»

«Dici?» Marco allegò a quella domanda un pizzicotto alla chiappa sinistra della moglie che non parve gradire.

«La tua patologia si chiama ambizione, Marco.»

«Però grazie a questa patologia, come la chiami tu, quest’estate andiamo in Grecia un paio di settimane in un villaggio turistico a cinque stelle.»

«Programma della giornata?» domandò Monica mentre si accomodò sulla tazza del cesso.

«Nell’ordine: accompagno i bambini a scuola, poi ho il colloquio con il Grande Capo in arrivo da Roma, seguito da un piccolo party di festeggiamento con i colleghi e relativa umiliazione. Ho un paio di impegni nel pomeriggio e poi ti porto a cena fuori come prestabilito. Sono stato chiaro?»

«E i ragazzi?»

«Quali ragazzi?»

«I tuoi figli, Marco. Non sarebbe bello festeggiare anche con loro la tua promozione?»

«Sarebbe… Peccato però che abbia già allertato la baby-sitter. Sarà per un’altra volta. Non è mica l’ultima promozione questa, o no?»

Monica replicò a quella domanda tirando lo sciacquone.

Mai risposta fu più esplicita.

Quella donna continuava ad apprezzare alcuni aspetti caratteriali dell’uomo che aveva sposato diversi anni prima, ma non sopportava il fatto che per arrivare avrebbe venduto persino la madre al miglior offerente.

E poi sapeva, o forse intuiva, immaginava che per ottenere quel posto doveva essere passato sopra i cadaveri di molti colleghi.

Due braccia forti la afferrarono da dietro. Familiari polpastrelli percorsero il suo ventre, non proprio piatto. Il suo collo divenne preda di baci. Arrogante da fare schifo, ma ci sapeva fare.

«Cosa c’è amore? Non sei contenta per me?» da buon ruffiano.

«Sì, sono contenta Marco. Magari non sono solo brava a esprimerlo.»

Stava mentendo. L’ultima di un milione di bugie che tenevano in piedi quel matrimonio. Come tante altre unioni che sopravvivevano grazie a una buona dose di ipocrisia per qualcuno o di realismo per qualcun altro.

«Vado a svegliare i marmocchi» aggiunse divincolandosi da quella stretta.

«Ok, festeggiamo meglio stasera.»

Marco ritornò in camera da letto, tirò su la persiana elettrica, spalancò le porte finestre e uscì in balcone.

Nonostante la temperatura non fosse proprio mite affrontò l’aria fredda di novembre con la sola t-shirt addosso. Osservò il panorama di una Torino ancora assopita su cui spiccava la guglia della Mole, sempre in erezione, come il suo «amico.»

Per un attimo, solo per un attimo, ripensò ai compromessi, lui li chiamava così, a cui era dovuto scendere per arrivare sino al traguardo della promozione. Ormai appartenevano al passato.

Parlò:

«SU… CA… TE… ME… LO!»

Interno, appartamento – Ore 7:30

Angelo Lombardi si svegliò con un profondo senso di nausea. Forse aveva esagerato con il sushi la sera precedente, durante una cena con alcuni compagni del corso di fotografia che frequentava ormai da qualche mese.

Quello della fotografia era solo un pretesto. Il reale motivo della sua partecipazione a quel corso era tutt’altro: voleva trombare e qualche amico gli aveva detto di provare o con la fotografia o con il latino americano.

Dopo una lezione di prova aveva optato per il teleobiettivo.

Si infilò in bagno e provò a vomitare, cacciandosi due dita in gola, ma emise solo dei versi da bestia.

Sputò nel cesso solo un po’ di saliva screziata.

Quando sollevò il capo vide, nello specchio quadrato, la pietosa immagine di un uomo in evidente stato di difficoltà.

«Oggi sarà il mio giorno?» interrogò se stesso a bassa voce.

Poi, mentre si sciacquò il viso, iniziò a riflettere.

Io sono lì dentro da una vita. Conosco l’azienda come nessun altro. Ho cresciuto molti dei miei colleghi. Se il Grande Capo farà una valutazione obiettiva. No, se farà… Il Grande Capo farà una valutazione oggettiva e trarrà le conseguenze del caso. Oggi, pubblicamente, mi innalzerà ai cieli e mi restituirà ciò che io ho dato all’azienda durante tutti questi anni di fedeltà…

Tutte quelle ore di straordinario, alcune delle quali non retribuite, saranno servite finalmente a qualcosa. Le pochissime giornate di malattia che mi sono preso in questo ventennio, andando a lavorare anche con la febbre alta e lo stomaco sottosopra, assumeranno un significato più alto.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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