Molto sudore per nulla – calcio

Molto sudore per nulla - David Duszynski

Molto sudore per nulla 😂⚽️👍 di David Duszynski –

Irresistibile ed esilarante –
Il must have di tutti i libri sul calcio amatoriale –
Guida galattica al remoto mondo del calcio amatoriale –

A calcio si gioca in undici contro undici. Otto contro otto è calciotto, cinque contro cinque è calcetto e venti contro venti è pasquetta. A calcio si gioca undici contro undici che sia la finale di Coppa del Mondo o l’ultima del campionato regionale tibetano. In totale ventidue, più uno che è l’arbitro. Ma nel calcio amatoriale, prima del fischio d’inizio, le persone che alzano la polvere cercando di colpire il pallone per impressionare il mister prima che dirami la formazione titolare, vanno da trenta a infinito. E solitamente il pallone è uno solo.

Che vogliate iscrivere la vostra squadra in uno dei milioni di campionati amatoriali nel mondo o che ne siate, vostro malgrado, già dentro, questo libro è una pratica, e spero utile, guida al vostro cammino, in grado di aiutarvi a scampare i pericoli che inevitabilmente incontrerete. Giornata dopo giornata, trasferta dopo trasferta. Basterà consultarla con gli occhi giusti e non dimenticare l’unico concetto alla base di questo mondo: «Nel calcio amatoriale non è importante vincere, né partecipare. Sopravvivere è l’unica cosa che conta.»

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Molto sudore per nulla:

Introduzione

Decisi di tornare a giocare con la Niemoslive il giorno del mio compleanno. Il trentesimo.

I compleanni non li ho mai presi bene. Quello fu il peggiore. Mi sentii incredibilmente solo e cominciai a pensare alla vita: «Cosa ho fatto di buono in questi primi trent’anni?»

«Poche cose» mi dissi, «la Niemoslive e…» Non mi venne in mente nient’altro.

Così, alla stessa età in cui Marco Van Basten annunciava il suo prematuro addio al calcio dopo tre Palloni d’oro, due Coppe Campioni, due Intercontinentali, un Europeo e una lunga trafila di prestigiosissimi trofei personali e di squadra, io tornai a calcare i campi polverosi del basso Lazio e dell’alto Casertano. Gli stessi che da dieci anni vedevano impegnata con intatta passione quella strana creatura donchisciottesca che, raggiunto il numero necessario di tessere per iscriversi a un campionato amatoriale, chiamammo Niemoslive. Ma questo non è un libro sulla Niemoslive (che pure meriterebbe di essere raccontata) e nemmeno sulla mia carriera calcistica (che invece no).

Questa è una pratica, e spero utile, guida al remoto mondo dell’Amatoriale. Un mondo ignorato persino dai giornali locali, dai circoli di paese e dalle bocciofile. Un mondo in cui è più facile beccare un terno al lotto che trovare uno sponsor. Un mondo popolato da superstiti e avventurieri. Il nostro Far West, la nostra frontiera. Un mondo selvaggio, ai confini del mondo del calcio.

Se un giorno doveste decidere, come me e i miei amici al bar una sera particolarmente allegra, di mettere su una squadra e iscriverla in uno degli infiniti campionati amatoriali nel mondo, è bene che facciate tesoro di queste pagine.

Dieci anni sui campi polverosi di periferia (mai perfettamente rettangolari) sono quello che ho da offrire.

Ma anche se voleste soltanto approfondire lo studio antropologico di una certa umanità che parla, fa la spesa, guida e mangia come voi salvo trasformarsi radicalmente per novanta minuti a settimana, qui c’è qualcosa che credo possa tornarvi utile.

In generale si ha l’idea di un mondo puro, in cui i valori dello sport dominano senza scalfitture né contraffazioni. Niente di più sbagliato. Innanzitutto perché il calcio amatoriale non è uno sport, ma una costante rappresentazione di elementi cosmici discordi e disordinati che si scontrano in area, sulla trequarti o in qualsiasi punto dell’universo raggiungibile da attempati terzini arrancanti. E poi perché chiunque abbia scelto di vivere quest’esperienza al limite, motivandola con i soliti: «Lo faccio per divertirmi», «mi mantengo in forma», «mi serve per sfuggire due ore dai ritmi forsennati della vita moderna», in realtà cerca solo un pretesto per azzuffarsi con gli avversari, smaltire la sbornia della sera prima o, più semplicemente, rovinare il fine settimana a molte persone in un tempo ristretto: dal momento in cui l’arbitro fischia l’inizio a quello in cui decreta la fine. Ammesso che, eventualità altamente frequente, la partita non sia stata sospesa prima.

È una mappa senza tesoro, ma se saprete consultarla con gli occhi giusti, vi offrirà il modo di scampare ai pericoli che inevitabilmente incontrerete sul vostro cammino. Giornata dopo giornata, trasferta dopo trasferta.

È divisa in tre sezioni: il Pre-partita, che comprende un bestiario delle specie più rare che incontrerete sul campo; una guida per raggiungere i piccoli comuni abbarbicati sulle vette di montagne dimenticate e il relativo campo; i riti propiziatori tipici di chi, a meno venti gradi o in una radura deserta col solleone e le linee di gioco segnate dai cretti, è costretto a scendere in campo.

La Partita, nella quale saranno analizzate le eventualità che potrebbero impedirvi di portare a termine la gara o di uscire dal campo così come ci siete entrati.

E il Post-partita, sezione dedicata al rischio di perdere amici o non tornare a casa.

Tutto questo sperando non dimentichiate mai un concetto di base, da considerare sempre, che siate intenzionati a vivere quest’esperienza o che ne siate, vostro malgrado, già dentro:

«Nel calcio amatoriale non è importante vincere, né partecipare. Sopravvivere è l’unica cosa che conta.»

Buona lettura.

Prepartita

A calcio si gioca undici contro undici. Otto contro otto è calciotto, cinque contro cinque è calcetto e venti contro venti è pasquetta. A calcio si gioca undici contro undici che sia la finale di Coppa del Mondo o l’ultima del campionato amatoriale della più sperduta regione tibetana.

Al fischio d’inizio le persone autorizzate a percorrere il rettangolo di gioco sono i ventidue più uno che è l’arbitro. Gli altri, oltre la linea bianca; che siano riserve, allenatore, dirigenti o eventuali guardalinee. In totale ventitré, non uno in più in nessuna parte del mondo.

Ma nel campionato amatoriale, prima del fischio d’inizio, le persone che alzano la polvere cercando di colpire il pallone per impressionare il mister prima che esso dirami la formazione titolare, vanno da trenta a infinito. E solitamente il pallone è uno solo.

In questi minuti che precedono l’inizio della gara è possibile ammirare l’origine delle cose, il big bang, niente è ancora al suo posto.

Brodo primordiale a centrocampo

Il cerchio di centrocampo, soprattutto nei mesi che vanno da ottobre ad aprile, è quanto di più vicino all’idea che i fisici hanno di brodo primordiale. Pozze di tre metri di diametro dalle quali spuntano isolotti fangosi capaci di attrarre una quantità incalcolabile di gravità. La massa corporea del giocatore più leggero al mondo, calpestata una di queste isolette fangose, aumenta all’istante di trenta o quaranta atmosfere. O si perde lo scarpino o si perde la gamba. Caderci di petto o di faccia vuol dire perdere un sacco di soldi in chirurgia estetica.

Nelle regioni del mondo in cui l’esperienza amatoriale è vista ancora come un gioco, un vezzo praticato dagli esponenti della terza età per giustificare quelle quindici-sedici birre in più al sabato, non si è ancora giunti a contemplare l’ipotesi di stilare un calendario in base alle stagioni e agli agenti atmosferici che le caratterizzano. Si gioca dove e quando si può purché, come accade in ogni parte del globo, ci sia qualcuno disposto a pagare un giro dopo una rete o un barista disposto a fare credito in caso di 0:0.

Infiniti sono gli esempi di avvocati stagionati, poliziotti stempiati, ex assicuratori sdentati che, usciti borsa in spalla per raggiungere il campetto, non hanno più fatto ritorno a casa. Ma c’è anche chi, provando a sfuggire per novanta minuti alla routine quotidiana, si è ritrovato suo malgrado catapultato in nuove immaginifiche dimensioni. Tra i casi più eclatanti ritengo indicativo citare il seguente:

Nel 1986, durante l’incontro Atletico Sibsagar – Dopo Lavoro Bongaigaon, valido per il secondo turno di Coppa Indiana, il tempestivo arrivo di un monsone salvò la vita al mediano d’appoggio della squadra ospite, il signor Sudha Moltho Dallemani.

L’incredibile quantità d’acqua precipitata in soli due minuti sul campo da gioco gli ha permesso di staccarsi dal centrocampo e per sedici mesi è andato alla deriva nell’oceano indiano giungendo fino alle coste di Tahiti. Il clima secco e il sole dell’isola polinesiana hanno immediatamente solidificato lo strato di fango che ricopriva il povero indiano facendone una sorta di totem molto venerato dagli autoctoni. Le alghe raccolte nel suo pellegrinaggio oceanico lo hanno innalzato di trenta centimetri e ironia della sorte, da quel giorno il signor Sudha si è scoperto attaccante. L’allenatore della squadra per cui gioca ancora oggi lo colloca stabilmente nell’aria avversaria e nonostante la scarsa mobilità, negli ultimi vent’anni ha segnato più di millequattrocento reti, tutte di testa. Secondo gli esperti il fattore determinante è la scarsa considerazione che il calcio polinesiano ha della difesa alta e del fuorigioco.   

Ma non tutti possono vantare la stessa fortuna del signor Dallemani.

Il 99% dei calciatori amatoriali rimasti imprigionati nella melma del centrocampo non ha fatto più ritorno a casa o, nel migliore dei casi, è stato venduto come calco pompeiano al mercato nero. Il signor Attilio Antesignani addirittura per la cifra record di ventiquattro milioni di euro. Nessun altro calciatore amatoriale è più stato pagato tanto.

Prima del calcio, la calce

L’organigramma di una squadra di calcio amatoriale che possa definirsi veramente tale, non prevede il responsabile del campo da gioco. C’è il presidente, l’eventuale vice, il o i dirigenti, il mister, la rosa, l’avvocato, lo psicologo e il responsabile del marketing (ma solo perché giocano anch’essi), la guida spirituale, il portavoce della tifoseria e la mascotte (che in realtà vorrebbero giocare ma non trovano spazio), c’è pure in qualche caso il fotografo ufficiale, ma manca sempre e comunque il responsabile del campo da gioco. Il responsabile del campo da gioco, o custode, ha tre mansioni di importanza capitale: curare il manto da gioco, reperire il gasolio per l’acqua calda e tracciare le linee.

Alle prime due si può ovviare in maniera più o meno originale: facendoci pascolare i cavalli durante la settimana o rubando il carburante alle macchine degli avversari durante la partita, ma le linee no, non c’è nessun modo per sopperire alla mancanza delle linee. Bisogna comprare la calce, sperare che non abbiano rubato il carrello o forarne uno nuovo e seguire delle linee dritte da una bandierina all’altra, incluse aree di rigore e centrocampo. Questa è una delle prove più difficili che un calciatore amatoriale possa mai sostenere: fare una linea dritta.

Esistono due scuole di pensiero:

A) Vado da un palo della luce all’altro confidando in un’intelligenza superiore che ordina le cose tutte nell’Universo.

B) Vado al campo all’alba cercando di sfruttare la luce radente del primo sole sperando di trovare i resti o le impronte di quella che doveva essere una linea di fondo campo decine di stagioni fa.

Nei dieci anni di calcio amatoriale che ho avuto la fortuna di percorrere ho visto campi di ogni forma possiate contemplare. Trapezoidali, poligonali, semisferici, obliqui. Se c’è una certezza in questo grande disegno cosmico è che su un campo amatoriale due rette parallele si incontrano sempre.

Un’altra certezza è che per quanto si possa affinare la tecnica, orientandosi con le stelle o il volo degli uccelli, la calce per fare le linee non basterà mai. Cinque minuti prima della partita l’addetto della giornata, divertitosi a disegnare enormi falli proprio a ridosso del terreno di gioco, istigato dalla possibilità di far ridere sguaiatamente sia i compagni di squadra che gli avversari, immaginando mirabolanti riprese dall’alto con la speranza che proprio quel giorno il satellite di Google Maps possa inquadrare quel lembo di terra, si accorgerà che per i restanti dieci metri di delimitazione dell’area di rigore non vi è rimasto un solo granello di calce.

Sarà quindi costretto a sfrecciare verso la ferramenta più vicina e trovandola chiusa di domenica rimbalzerà come la pallina di un flipper di mercato in supermercato in ipermercato. Ne sarà rimasto un solo sacchetto su cui si fionderà contemporaneamente un altro addetto alle linee di qualche campo in zona. Ai due basterà uno sguardo per capirsi. Usciti dal megamercato apriranno il sacchetto in due, si saluteranno col pugno sul cuore e poggeranno la metà sul sedile posteriore. Saranno passate due ore, ma una volta arrivati al campo sembreranno cinquantanni. Avranno i capelli bianchi, la pelle bianca, i vestiti bianchi, gli interni dell’auto bianchi e della calce nessuna traccia, solo una pesante nebbia che esce dai finestrini. Ovviamente bianca.

Vecchi aromi, antichi spogliatoi

Lo spogliatoio di un campo da calcio è il luogo in cui si entra in clima partita, la tensione sale, ci si guarda negli occhi, tutti si guardano negli occhi, finché il più giovane, imbarazzato, si giustifica: «Non l’ho fatta io.»

C’è chi entra nello spogliatoio cantando per mascherare la pressione, chi mangiando perché è in ritardo, chi assorto, lo sguardo su un punto fisso, non saluta nemmeno i compagni, lasciandoli col dubbio: è determinazione o disturbo gastrointestinale?

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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