Il cerchio del fantasma

Il cercio del fantasma - Fausto Tanzarella

Il cerchio del fantasma di Fausto Tanzarella –

Un giallo classico da cui non potrete staccarvi fino all’ultima parola.

Siena, 1990. Luca Spaldi, mercante d’arte d’incerte fortune, comincia a inviare lettere e telefonate minatorie a un gruppo di amici della buona società cittadina. Non si tratta di un semplice caso di stalking, non sono minacce a vuoto poiché i destinatari dei messaggi vengono puntualmente assassinati.

C’è però un dettaglio non trascurabile: Luca Spaldi è morto, ormai da un anno. Decine di persone lo hanno visto steso nella bara. Che qualcuno agisca in suo nome? Sembra proprio di no. Le perizie confermano che la grafia è quella del defunto e le lettere, scritte a mano con penna stilografica, risultano vergate da pochi giorni. Anche la voce intercettata al telefono è senz’altro quella dello Spaldi e così, la psicosi del Fantasma assassino si stende sulla città come una coltre scura.

In aiuto della polizia, ferma a un punto morto e incapace di trovare una spiegazione plausibile, arriva però Andrea Olmi, giovane autore di romanzi polizieschi, affascinato dall’eccezionale particolarità del caso e, non ultimo, motivato dal desiderio di far colpo sulla bella cronista di nera Katia, amica di alcune vittime della macabra serie.

Riuscirà lo scrittore, armato solo della propria capacità di osservazione e mettendo in gioco la propria vita, a dissolvere le nebbie che circondano l’irrazionale vicenda dei delitti del Fantasma?

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Il cerchio del fantasmao:

1
La ribollita no

Cavolo nero, fagioli, verza, cipolla, carota, sedano, pomodoro, zucchine, patate; acqua, quella di cottura dei fagioli, poco sale, niente pepe che non c’entra nulla, e pane vecchio ben tostato. Lì a La Trappola, in piazza del Mercato, servivano la vera ribollita toscana. Piero e Teresa, gli osti, la preparavano con sapienza contadina. Andrea ci aveva fatto un pensierino, ma la ribollita è troppo… ingombrante. E a cena con lui c’era Olga. Che dopo avrebbe accettato di seguirlo a casa sua. Questo era certo. Per due volte lui aveva sondato la possibilità: il bicchiere della staffa con un certo whisky appena arrivatogli dalla Scozia; un’occhiata alle bozze del suo nuovo romanzo. Con buon esito:

«Sono grande amica del vero buon whisky.»

E poi: «Davvero? Ho letto tutti i tuoi romanzi. Mi piace un sacco come scrivi. Certo, sarebbe davvero emozionante dare un’occhiata a cosa stai preparando, un’anteprima solo per me.»

Sì, lei era pronta a portare la loro recente amicizia un po’ più in là, verso qualcosa di meno indefinito.

«Mi piaci, Andrea. Più ti conosco e più mi piaci. Vorrei conoscerti ancora più a fondo, completamente, se ti va.»

Così gli aveva detto solo un paio di giorni prima. Perciò la cena. E quindi ora l’invito, subito accolto, a proseguire la serata a casa. Insomma tra poco Andrea avrebbe dovuto mettere in campo certe sue qualità; meglio tenersi leggero e asciutto. Risotto all’ortica: quella era la scelta giusta. Lei la condivise.

Si conoscevano da meno di due settimane, il più classico degli incontri casuali, una serata in casa di amici comuni. Avevano chiacchierato a lungo, si erano scambiati i numeri di telefono. Nei giorni seguenti alcuni aperitivi, qualche tè, telefonate. Ora si trattava di dare un senso alla cosa. E Andrea sentì che dentro di sé si apriva la solita zona d’ombra, quel vuoto che gli si spalancava dentro, ogni volta che stava per concludere con una nuova donna. Niente a che fare con ansia di prestazione o roba del genere, intendiamoci. Olga non si sarebbe accorta del suo disagio, sarebbe apparso molto sicuro di sé, efficiente. Ma nella sua mente già si affacciava l’immagine dell’altra, il volto, la voce, la memoria del contatto con la sua pelle, liscia e calda.

La saletta dell’osteria era intima e accogliente, luci morbide, pareti e tovaglie di un tenue rosa antico, candele sui tavoli, molti piccoli quadri raffiguranti paesaggi toscani nel gusto domestico e puro che fu dei Macchiaioli; alcune foto in bianco e nero di carriere del Palio anni ’50 o ’60 che ormai, nel 1991, facevano modernariato.

Intorno a loro gente educata che consumava la propria cena chiacchierando a bassa voce. Tutto invitava Andrea a scivolare dolcemente in questa piacevole tregua che la vita gli offriva. Era un uomo giovane; aveva davanti una donna ancor più giovane e molto desiderabile, che desiderava lui. Ma mentre parlava di tante cose con Olga, tagliava la scaloppina, sorseggiava il Chianti, in un angolo della sua mente si affacciavano due altri occhi e l’ironia di quel sorriso. E Andrea sapeva che tra un’ora o poco più, quando avrebbe accolto Olga nel suo letto, abbracciato il suo corpo nudo, baciato le sue labbra, anche l’altra sarebbe stata lì, con loro. Avrebbe avvertito tutta l’estraneità di Olga da sé, e capito quanto questa bella donna conosciuta da poco fosse lontana dalle sue emozioni. Difficile dire con chi, davvero, avrebbe fatto l’amore. Tutto questo gli faceva rabbia. Ma era bravissimo a non darlo a vedere.

Da due anni Katia l’aveva lasciato, ormai aveva accumulato una buona esperienza.

Attraversarono piazza del Mercato con passo indolente, tenendosi a braccetto. Era stata Olga a impossessarsi del braccio sinistro di Andrea, con la scusa che sulle lastre i tacchi alti la mettevano in difficoltà. Lei, che sui tacchi ci viveva… Promoter della grossa azienda vinicola del padre, era abituata a imporre il proprio fascino ai tanti uomini coi quali doveva trattare, in Italia e fuori. Andrea non ricordava di averle mai visto altro tipo di calzatura. Olga avrebbe potuto fare trekking sui tacchi. Gli appoggiò anche il capo sulla spalla, era una donna alta, Andrea un uomo molto alto. Accolse volentieri quel contatto, abbassando la guancia sui morbidi capelli biondi, che profumavano, di chissà cosa ma profumavano. Camminarono chiacchierando di vino, di libri, di musica.

La primavera era ancora acerba, però nell’aria frizzante si avvertiva un soffio gentile, un’indefinibile promessa di quiete che rassicurava: non era più inverno. Siena regalava una di quelle sue notti segrete, nelle quali il cielo limpido intesse un fervido dialogo tra il luccichio delle stelle e i riflessi dell’acqua nelle fonti.

Risalirono via di Salicotto, godendosi il miracolo della Torre del Mangia svettante oltre i tetti delle case, col cielo stellato come sfondo. Piazza del Campo era quasi deserta, a parte qualche gruppo di studenti. Era un periodo di tregua. Ancora l’invadente flusso turistico non era iniziato, per un altro paio di settimane la città sarebbe rimasta al riparo dalle terribili gite scolastiche.

Andrea e Olga presero per via del Porrione e quindi scesero in via di Pantaneto, fino al palazzo dove lui era venuto al mondo, trentanove anni prima, e dove ancora abitava, da solo. Un severo ascensore anni ’50, tutto in legno, con due sportelli, li portò fino al secondo piano in lenta sicurezza.

«La tua casa è come l’avevo immaginata, sai Andrea?» disse lei mentre si liberava del cappotto di panno blu e lo lasciava cadere sul divano di pelle del salotto o più precisamente sullo strato di carta rilegata che lo ricopriva. «È una biblioteca abitata. Ovunque libri. Ci saranno anche dei mobili qui intorno, ma si vedono solo i libri che ci hai ammucchiato sopra. Suggestivo.»

«Rina, la signora che viene a farmi le pulizie, non è del tuo stesso parere» rispose lui, mentre presso una credenzina, facendosi spazio tra cumuli di vecchie riviste, tentava di versare nei bicchieri il prezioso whisky.

«Mio padre ereditò una gran quantità di libri da mio nonno. Molti altri li acquistò lui e li ha lasciati a me, che a mia volta non faccio che accumularne. Questo è il risultato.»

Sedettero sull’altro divano, quello piccolo, di panno color crema, dove c’era posto perché era lo spazio che Andrea destinava alla lettura e non solo. Un lume a piantana, con la lampada protetta da una campana di pergamena, offriva una luce morbida e calda. Sorseggiarono il whisky guardandosi negli occhi, sorridendo, per far finta di non sentirsi impacciati.

«Favoloso» disse lei, sollevando un po’ il bicchiere.

«È lo Springbank, un raro whisky prodotto nella penisola di Kintyre, sulla costa atlantica della Scozia.  Ho un caro amico lì, che mi rifornisce ogni anno. Io gli mando del Brunello.»

«In te tutto è particolare, insolito. Dimmi, dov’è che scrivi le tue cose?»

«Qui, proprio su questo divano. Uso dei grandi notes con il dorso rigido e ho una bella collezione di matite.»

«Scrivi a matita! Siamo nel 1991, è l’era dei computer!».

«L’ho comprato un computer» rispose lui, indicando la scrivania che avevano alle spalle, sulla quale dal solito mare di carta spuntava un monitor. «Sto abituandomi a ricopiare quello che scrivo con quell’attrezzo, tutto sommato è divertente; anche più facile della mia vecchia Olivetti fracassona. Ma in prima battuta bisogna che scriva a mano.»

«Con la matita…»

«È indispensabile. Scrivendo ci sono sempre ripensamenti, allora devi cancellare e riscrivere. Se usi la penna devi fare un frego su ciò che non va e riscrivere sopra e, se i ripensamenti diventano parecchi, alla fine la pagina è una ragnatela illeggibile. Invece per la matita c’è la gomma: la pagina resta pulita, forse un po’ consumata ma pulita.»

Olga finì di bere il suo whisky e portò lo sguardo in giro per quella strana, grande stanza abitata da libri, quadri, dischi… Fissò il suo amico con divertita rassegnazione.

«I tuoi dischi, tutti ancora solo in vinile naturalmente.»

«Sì, solo.»

«Oh, Andrea, quando sei nato?»

«Siena, 10 settembre 1952.»

«Vergine. Ovvio. Giorno e mese corrispondono perfettamente alla tua natura. È l’anno che lascia perplessi. Dovrebbe essere… precedente. Tu appartieni alla prima metà del secolo, alla sua parte iniziale.»

«Forse dovresti andare molto più indietro. Il mio tempo è il Medioevo.»

«Già, i tuoi romanzi di delitti e misteri nella Siena del ‘300. Il tuo investigatore Bernardino Cristofori, grande esperto di malefici criminali, che risolve i casi con nessun altro strumento d’indagine se non il suo cervello. Ormai sono tre i tuoi romanzi. Da dove è nata questa…»

«Fissazione?»

«Ma no, è che…»

«Fissazione va bene. Ma anche passione, devozione per certi versi. Appartengo a questa città, dove ogni pietra è storia; quella storia. I Nove, Simone Martini, i Lorenzetti, Cecco Angiolieri, Santa Caterina. Il tempo è un arco infinito. Noi pensiamo che il tempo sia quello nostro, i giorni che viviamo. In realtà condividiamo solo un piccolo frammento di quell’arco. A noi è capitato il meno interessante, il meno intenso. Il tempo della mia città fu quello, il loro. Di esso godiamo ancora le testimonianze, ne abbiamo ricevuto il segno e la dottrina; non credo che potremo lasciare nulla di paragonabile alle future generazioni.»

Il divano era piccolo e loro già molto vicini, ma Olga si avvicinò ancor di più e fissò Andrea negli occhi, con intensità.

«Tu sei un uomo labirinto. Una ci entra, muove alcuni passi, pensa di aver capito la logica del luogo, ma più va avanti e più scopre nuovi angoli, nuove prospettive, luci diverse e sul più bello si accorge di non aver capito niente, o molto poco e si sente confusa. Ma è una confusione piacevole, perché frutto di una serie continua di felici scoperte.»

Gli si strinse contro e lui posò una mano sul suo ginocchio, stringendo. Riuscì a nascondere il disagio. L’immagine dell’altra, che durante la conversazione si era dissolta, ritornava. Non c’era quel profumo, quella pelle, c’era un corpo contro il suo e per Andrea corpo continuava a voler dire Katia. Ma fu un attimo. Impose a sé la realtà, cioè Olga, che aveva morbidi capelli biondi, occhi celesti, dita lunghe e sottili: la baciò, a lungo. Gli piacque? Decise di sì. Abbracciata a lui c’era una donna vera, non un ricordo, un rimpianto. Lei era pronta. Lo desiderava con forza. Andrea stava per tirarla su dal divano e portarla in camera da letto.

Squillò il telefono. Mancavano dieci minuti alle undici. Strano. Olga si staccò da lui, nervosa.

 «A qualche tuo amico manca proprio il senso dell’opportunità!» disse.

Lui, più curioso che preoccupato, raggiunse l’apparecchio; era in fondo alla stanza, posato su cinque volumi della Rizzoli Larousse 1966 a loro volta ammonticchiati su di una sedia. Inutile precisare che era un venerando apparecchio nero, a disco.

 «Pronto.»

 «Oh, Andrea, meno male, sei sveglio. Non potevo chiamare che te, di te posso fidarmi…»

Claudia Merlini. Era stata la sua insegnante di lettere al liceo e poi la sua preside quando lui stesso era passato a insegnare nello stesso liceo: non solo un’amica ma una seconda madre, specie da quando la prima non c’era più. La sua voce era in affanno, tremava.

«Che succede, Claudia, ti senti male?» da un po’ di tempo il cuore della Merlini, che aveva superato la sessantina, cominciava a perdere colpi, ma nulla di grave, pareva.

«Andrea, non prendermi per matta: ho appena ricevuto una telefonata, da… Luca.»

«Luca chi?»

«Luca… Luca Spaldi!»

Andrea Olmi provò grande pena per la sua amica.

«Stiamo calmi, Claudia, per piacere. Hai dimenticato che Luca Spaldi è morto? Da un anno ormai.»

«Perciò ti ho pregato di non darmi della matta, devi credermi. Giorni fa ho ricevuto una sua breve lettera. La grafia era la sua, ma queste cose si possono contraffare. Ho pensato a uno stupido scherzo. Mi diceva che presto si sarebbe fatto sentire. Non ne ho parlato con nessuno, men che meno col nostro gruppo di amici perché ero certa che da qualcuno di loro venisse lo scherzo e non volevo farmi prendere in giro. Proprio stasera c’era una cena a casa di Prospero Galli, pensavo che volessero divertirsi alle mie spalle se ne avessi parlato, tutti sanno che sono un tipo impressionabile. Comunque nessuno ne ha parlato. Sono tornata a casa da pochi minuti, mi ha dato un passaggio Katia Bardo. Poco dopo lui mi ha telefonato e mi ha detto che stanotte verrà a uccidermi… oh… Andrea, ti prego, corri da me, corri, ho paura.»

Un morto che resuscita, una cara amica in piena crisi di nervi, il nome di Katia, sì proprio quella Katia, che gli pioveva addosso così per caso nel contesto di tutto quel casino: il cervello del professor Andrea Olmi cominciò a fare gli straordinari per mettere ordine. Certo, da qualche parte doveva esserci un imbecille che trovava gusto nel terrorizzare una povera donna. Questa donna però ora stava male ed era l’unica cosa che contava in quel momento.

«Claudia, ma a parte tutto, perché diavolo lo Spaldi ti dovrebbe voler morta?»

«Te lo spiego a voce poi, ma ti prego vieni!»

«Arrivo, Claudia. Faccio prima possibile.»

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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