Amore d’inverno

Amore d'inverno - Monica Campolo

Amore d’inverno di Monica Campolo –

Un romanzo noir che parla di quell’amore malato e volento che non si vuole vedere, ascoltare, sentire. Se c’è violenza e sopraffazione non può essere amore. O no?

Stefania vive rinchiusa in una gabbia dorata le cui chiavi sono saldamente nelle mani di un marito affascinante e violento. Fra la cura della casa, la preparazione di pasti gourmet e le lezioni di danza – unica concessione alle sue inclinazioni – la donna vive in uno stato di quiete apparente fino al momento in cui, nella villetta accanto alla sua arriva il misterioso Jerry.

Ben presto le vite dei due s’intrecciano rivelando verità sconcertanti che affondano le radici nel passato di entrambi e che scuotono dalle fondamenta tutte le certezze di Stefania. Grazie a Jerry, la donna capisce che esiste un’altra vita possibile fuori dalle mura che la imprigionano ormai da troppi anni ed è proprio la vita fino ad allora solo sognata che cercherà, finalmente, di afferrare.

La vicenda si articola a capitoli alterni che mostrano il punto di vista dei due protagonisti, due voci chiare e distinte che cantano insieme, due voci che non si confondono eppur si uniscono dandosi forza a vicenda spingendosi sempre oltre fino a un finale che rimetterà tutto in discussione poiché, per dirla con Agatha Christie, le cose non sono mai come sembrano.

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Amore d’inverno:

Prologo

Tanti anni prima

«Cosa volete? Andatevene!» urlò Claudio incassando la testa tra le spalle e stringendo i pugni.

«Ce ne andremo quando cazzo vorremo, palla di lardo. Levati dai coglioni e non verrai bastonato» gli rispose Mirko, il più sfrontato dei tre.

Stefania sussultò per lo spavento e strinse forte il braccio della sua amica.

Ohi ohi, la situazione si sta mettendo male, pensò.

«Ripeti quello che hai detto, stronzo, e ti spacco la faccia» disse Claudio, guardando torvo Mirko. «Lasciate in pace queste ragazze, siete solo dei vigliacchi!»

Risate beffarde da parte dei tre.

«Mi sa proprio che vuoi essere ammazzato di botte» lo minacciò Fabio sputando per terra.

«Ma sì, diamogli una lezione coi fiocchi» continuò Mirko avvicinandosi a Claudio, spalleggiato dagli amici.

Il terzo, il ceceno, non aveva ancora aperto bocca.

«Provateci, se avete il coraggio» li sfidò Claudio, fulminandoli con gli occhi.

Poi, dalla tasca dei pantaloni estrasse un coltello a serramanico. Lo aprì e fece scintillare la lama davanti agli occhi dei teppisti, che esitarono impallidendo visibilmente.

Stefania e Romina indietreggiarono sempre più spaventate, gli occhi sgranati, il viso bianco come un lenzuolo.

«Allora? Cosa state aspettando?» li esortò Claudio con la bocca distorta in un ghigno. «Fatevi sotto!»

«Tu sei completamente pazzo» disse Fabio, intimorito. «L’ho sempre saputo.»

Claudio alzò il mento con aria di sfida e fece un passo avanti col coltello stretto in pugno.

I tre arretrarono di un passo, atterriti più dal suo sguardo che dalla lama affilata.

Poi girarono le spalle e si allontanarono in tutta fretta.

«Codardi!» gridò Claudio. «Guai a voi se vi riavvicinerete a questa ragazza! Vi taglio la gola!»

Si voltò a guardare Stefania che fu impaurita dalla strana luce che brillava nei suoi occhi.

Claudio fece un passo verso di lei.

«Stai tranquilla» le disse. «Non ti daranno più fastidio.»

Stefania deglutì, poi fece un piccolo cenno con la testa.

«Beh… grazie. Grazie comunque.»

«Di niente. Finché ci sarò io non dovrai più avere paura. Non permetterò mai che ti accada qualcosa di male.»

La sua voce era profonda e sicura come quella di un uomo, anche se aveva solo quindici anni.

Le due ragazze si voltarono e ripresero il cammino verso casa.

Nel pomeriggio Stefania, sdraiata sul letto, parlava al telefono con Silvia Lambelet, l’amica del cuore, che quella mattina non era in classe a causa di un principio d’influenza.

Mentre ammirava con orgoglio l’arredamento della sua camera, che i genitori le avevano rinnovato da poco, grande armadio bianco quattro stagioni corredato di comò e scrivania funzionale nello stesso stile, le raccontò l’episodio increscioso accaduto all’uscita della scuola.

Silvia fece una risatina beffarda.

«Allora quel teppista ti ha difeso da altri teppisti. Bello, però. Non ti senti lusingata?»

Stefania sbuffò.

«Sì, prendimi in giro. Intanto tu non c’eri e noi sì. Non è stata una cosa simpatica, credimi, quei tre hanno dei ceffi che mettono davvero paura. Soprattutto Goran, il ceceno. Quello ce l’ha scritto in faccia che opinione ha delle donne e cosa farebbe con loro, e gli altri due idioti lo seguono come soldatini.»

«Eh, già, invece quel Claudio Girolami è un fiorellino, vero? A me sembra peggio di loro tre messi insieme. Aveva addirittura un coltello, hai detto. Alla sua età! E gli altri non erano armati? Strano!»

«Evidentemente no. Sono solo dei bulli di cartapesta. Ma, guarda, secondo me sono stati spaventati più dalla grinta di Claudio che dal coltello. Sembrava un folle, uno psicopatico.»

«Comunque abbiamo appurato che è innamorato di te!»

Stefania fece un versaccio.

«Ma per favore! Che esagerazione! Ha voluto solo fare l’eroe, tutto qui. Un modo per riscattarsi del fatto che è grasso e bruttino, che nessuna se lo fila. In qualche modo deve pure affermarsi anche lui, no?»

Silvia era dubbiosa.

«Mah, sarà. Secondo me l’ha fatto proprio per te, invece. Non vedi come ti guarda, quando lo incrociamo? Ti mangia con gli occhi, sembra in adorazione. Non si sarebbe buttato così per nessun’altra, ne sono sicura. Ha rischiato, e tanto. Coltello o non coltello gli altri erano in tre. È stato coraggioso, anche se folle.»

«Va beh, Silvia, saranno affari suoi. Se sperava di fare colpo su di me con quel gesto da gradasso ha proprio sbagliato. Gliene sono grata ma stop.»

«Almeno sarai più tranquilla. Se quei tre bulli torneranno a romperti i coglioni saprai chi chiamare. E ora mi vuoi dire che avete fatto stamani in classe?»

Dopo aver aggiornato l’amica sulle lezioni della mattina e aver parlato di qualche banalità, Stefania riattaccò.

Andò a chiudere i tendoni e si soffermò a osservare fuori dalla finestra il cielo già buio, che minacciava pioggia.

Giù nella strada i fanalini rossi delle auto formavano una serpentina sfavillante e lei si ritrovò a pensare chissà dove stava andando tutta quella gente.

Ma in un angolino della sua mente era sempre acquattato quel ragazzino tracagnotto più basso di lei che le faceva scudo con i pugni alzati e le sopracciglia aggrottate.

Sorrise con tenerezza poi tornò ai suoi libri.

Stefania

Oggi

Mi sfilo le scarpe e a occhi chiusi faccio scorrere la punta del piede sul parquet della stanza che uso per allenarmi.

Mi piace saggiarne l’elasticità ed esercitarmi scalza per qualche minuto, prima di mettermi le scarpette da punta.

Faccio un po’ di stretching, naso sulle ginocchia e via, sono pronta per la sbarra.

La stanza che Sergio mi ha riservato per i miei esercizi di danza è bellissima, mi piace.

Ha specchi su tre pareti e sulla quarta grandi finestre che danno sul giardino.

È luminosa. È bello allenarsi qui quando c’è il sole, ma ancora di più quando è brutto tempo e si vede la pioggia scrosciare implacabile contro i vetri e il vento piegare gli alberi tutt’intorno.

Metto su un cd di musica classica, mentre mi tengo una mano sulla schiena, in basso, proprio sopra un rene.

Il dolore si è risvegliato dopo gli esercizi di stretching.

Ma mi allenerò lo stesso, lo vincerò con la mia danza.

Sotto le finestre corre una lunga sbarra, mi ci appoggio e comincio i grand plié, cercando di ignorare le fitte lombari.

Uno, due, tre, le gambe si flettono e le braccia ruotano e io stringo i denti, andando avanti.

Mi controllo negli specchi alle pareti e vedo che è tutto perfetto, il collo allungato, i muscoli tesi al massimo e le braccia arcuate, senza angoli.

Provo a sollevarmi sulle punte e mi accorgo che ce la faccio, nonostante il dolore ce la faccio.

Finirò la mia lezione quotidiana, Sergio.

Dopo un’ora e qualche altro esercizio di stretching, decido che per oggi può bastare.

Mi slego i nastri di raso delle scarpette, mi sfilo le calze e tutto il resto e passo nel bagno per la doccia.

Allo specchio mi controllo il brutto livido violaceo sopra la natica destra.

È sempre lì, uguale a prima. Dopo mi darò un po’ di pomata.

Ma mentre mi butto sotto il getto d’acqua bollente, penso che sono contenta che a dispetto di tutto non ho saltato i miei allenamenti.

Vaffanculo, Sergio.

Almeno la danza, non riuscirai a levarmela.

Jerry

«Allora, che gliene pare?»

Jerry si guardò intorno soddisfatto, mentre l’incaricata dei Sangiorgio gli mostrava le varie stanze del cottage che avrebbe preso in affitto.

«Mi sembra perfetto. Per me è più che sufficiente e poi il giardino così grande è l’ideale per il mio cane.»

«Spero che non faccia dei danni, però!»

La signora lo guardava apprensiva. Jerry le leggeva chiaramente in faccia che, se fosse dipeso da lei, non avrebbe certo affittato quel grazioso villino a un energumeno con un bestione di cane.

«Non si preoccupi» rispose con un sorriso. «Attila è ben addestrato e molto obbediente. Vedrà che non ci saranno problemi.»

Prima di andarsene, fece un ultimo giro nel cottage.

Sì, gli piaceva davvero.

C’era una cucina quadrata e un salone abbastanza grande col camino, più due camere e un bagno.

Ma la peculiarità di quell’abitazione era la grande parete a vetri del salotto, fatta di riquadri all’inglese e con la porta-finestra che dava sul giardino.

Una meraviglia.

«Il villino era la dependance del giardiniere e di sua moglie, quando i Sangiorgio vivevano ancora qui in pianta stabile» stava spiegando la signora. «Ora abitano negli Stati Uniti e tornano qui una volta ogni tanto. Purtroppo, come vede, ha bisogno di una rinfrescata. Sa, è rimasto disabitato troppo a lungo, e qui l’umidità fa da padrona, con tutto questo verde… domani verranno gli imbianchini e l’impresa delle pulizie, così fra un paio di giorni ci potrà entrare. Le farò cambiare anche i materassi.»

«Mi va benissimo.»

Jerry si chinò a fare una carezza al suo cane, che guaì scodinzolando.

«Ti piace, Attila? Qui ti potrai divertire a scorazzare! Vedrai come staremo bene, io e te!»

Mentre diceva questo, Jerry guardò con la coda dell’occhio l’incaricata e trattenne un sorriso nel vedere l’espressione leggermente disgustata di lei.

Aveva parlato ad Attila in quel modo di proposito, per scandalizzare quella donna che di sicuro non amava gli animali.

Mentre uscivano dal cancello della villa, Jerry scorse una tendina che si abbassava alla finestra del primo piano della casa di fronte.

Qualcuno stava spiando.

«Vicini curiosi» pensò. «Gliene darò io, di materiale su cui spettegolare!»

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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