titolo del libro

The Barber’s Tales di Alberto Tondella –

Quante volte dal barbiere avete sentito racconti incredibili? Pronti ad ascoltare queste indimenticabili storie?

Mi presento, sono il barbiere.

Gli specchi della mia bottega hanno riflesso migliaia di volti, ognuno con almeno una storia da raccontare. In tanti anni ho ascoltato e raccolto confessioni, pettegolezzi, leggende metropolitane e segreti.
E ora ho tante incredibili storie da raccontare. Avventure che germogliano negli angoli più nascosti del cervello e crescono negli spazi più intimi dell’animo umano. Storie che non dimenticherete facilmente. Storie che parlano di sesso, bugie, coscienza, paura, tradimenti, truffe, amore, morte. Ma soprattutto, che parlano di persone.
Siete pronti per The Barber’s Tales?

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The Barber’s Tales:

1
Cristiano, il rider di Foodora

Vi racconto una storia che non dimenticherete facilmente, della quale ho sentito diverse versioni.

Io vi riporto la più probabile che, per assurdo, è anche la più incredibile.

È una storia che parla di bugie, di coscienza, di contrabbando e di morte.

Vi racconto la storia di Cristiano, il rider di Foodora.

Cristiano è coricato su una poltrona di design, una Le Corbusier ricoperta di pelle di mucca, nel soggiorno di un elegante appartamento della pre-collina torinese.

Ha 22 anni, un fisico atletico e una barba da hipster, di quelle che usano i ragazzi di oggi. Si è fatto da poco una doccia e ora, nudo, sta ascoltando un vecchio 33 giri di vinile: France Gall, una giovane cantante francese degli anni sessanta.

Ha gli occhi chiusi, è sereno, quasi felice, e sta meditando quanto la fortuna, o il destino che dir si voglia, questa volta siano stati dalla sua parte.

E pensare che solo pochi giorni prima la sua situazione era molto più scomoda.

Cristiano è un aspirante architetto, si è trasferito a Torino per seguire i corsi, ha grosse difficoltà a far quadrare i conti ed è ospite del cugino in uno squallido appartamento che condivide con tre operai dell’Iveco.

Studiare in città è costoso e per guadagnare qualche extra ha deciso di unirsi a quello sciame di ragazzi che consegnano cibo a domicilio. Così, tutte le sere, dalle 18 alle 23, il ragazzo indossa un caschetto rosa e, con la mountain-bike del cugino, corre sul pavé del centro con lo zaino ripieno di sushi e fajitas.

Pochi giorni prima, dicevo, Cristiano sta salendo le scale di un palazzo dietro la chiesa della Gran Madre di Dio. Salta i gradini a tre per volta perché, come sempre, è in ritardo e arriva trafelato all’ultimo piano. Bussa, ma nonostante dall’interno arrivino gli schiamazzi di un televisore, nessuno risponde.

Bussa ancora, poi suona il campanello. Niente.

La porta non è chiusa a chiave e Cristiano decide di entrare.

Conosce quell’appartamento perché ci è già stato parecchie volte, e sa che l’inquilino non avrebbe nulla in contrario alla sua intrusione.

Urla per annunciarsi, e come in tutte le consegne precedenti, gli viene incontro Federico, un carlino, che si lancia verso di lui abbaiando e sbavando.

Cristiano lo scosta con un calcetto, poi grida ancora. «Ehi, Geneviève, ci sei?» Nessuna risposta.

Lentamente si spinge fino al soggiorno. Forse la ragazza sta facendo la doccia e non lo può sentire.

E invece no.

La padrona di casa è lì, in soggiorno, ma è sdraiata a terra girata su un fianco.

È pallida e un grosso livido su una tempia le deforma il viso.

Non ci sono dubbi. Geneviève è morta.

Cristiano si avvicina al corpo della ragazza. Non la tocca. È confuso, e si guarda in giro in cerca di risposte.

La donna è bagnata, l’accappatoio è aperto e Cristiano può ammirarne il corpo nudo, decorato da tatuaggi orientali. Altre volte aveva provato a immaginarselo con desiderio quel ben di Dio, ma ora non ci trova nulla di sexy.

Il tavolino accanto a lei si è rovesciato su un lato sparpagliando a terra un cellulare e un piattino con i resti di una fetta di torta.

A Cristiano batte forte il cuore, un po’ per la corsa, ma soprattutto per lo spavento.

Probabilmente Geneviève è caduta. Forse aveva i piedi umidi ed è scivolata sul parquet sbattendo la testa sul tavolino.

Il ragazzo non riesce a fissarla a lungo, e soprattutto non vuole toccarla, è la prima volta che vede un cadavere così da vicino e la cosa non gli piace affatto.

«E adesso che cazzo devo fare?» si chiede.

Federico continua ad abbaiare e il cellulare continua a squillare per altre consegne.

 «Bisognerebbe avvertire la Polizia» pensa.

Ma se poi lo incolpassero della morte della ragazza? Loro sanno che lui è stato lì quella sera per la consegna. Per di più Cristiano sta lavorando in nero, a nome del cugino.

Bel casino.

Delle voci arrivano dal pianerottolo, poi si allontanano. La TV grida di un tizio che ha sterminato la famiglia a martellate e poi si è buttato dal quarto piano.

«Cristiano, fatti i cazzi tuoi. Dirai che hai suonato, ma che nessuno ti ha aperto.»

E così il ragazzo scappa. Ma passando per il soggiorno vede sul tavolo qualche banconota da cinquanta euro e un Rolex da donna.

Rallenta, li prende in mano. Mannaggia se gli farebbero comodo.

«Rubare a un morto è rubare?» si chiede

Forse sì, ma tanto a lei non servirebbero più, e probabilmente se non li prendessi io finirebbero nelle tasche degli portantini della Croce Rossa, o dei becchini, o dei vicini di casa venuti a vedere che fine avesse fatto quella ragazza piena di tatuaggi, ma così gentile con tutti.

Infila denaro e orologio in tasca e corre via.

La notte è infinita, cattiva e implacabile, quando non ci si riesce ad addormentare.

Cristiano conosceva Geneviève perché era una cliente abituale, aveva circa una trentina d’anni, e ordinava sempre porzioni singole. Viveva sola, e lui, timidamente, le aveva proposto di farle compagnia una sera o un’altra, ma lei non aveva risposto.

Una volta però la consegna per la ragazza era stata l’ultima della serata e il ragazzo le aveva chiesto di poter andare in bagno. Fuori faceva freddo e lei gli aveva preparato un thè.

In quell’occasione Cristiano si era dato un’occhiata in giro e aveva potuto ammirare quella figata di appartamento: i quadri d’arte contemporanea, l’arredamento di design, l’acquario con due splendenti polpi blu, e quella porta rossa, chiusa a chiave, davanti alla quale Federico non faceva che abbaiare e sbavare, e che Cristiano aveva invano provato ad aprire pensando fosse il bagno.

Quella volta Geneviève aveva raccontato che si era trasferita a Torino per amore di un certo Federico, che poi l’aveva tradita con un’amica ed era sparito. Così aveva comprato un cane orribile e lo aveva chiamato come il suo ex, per non dimenticare. Era figlia unica, ma con i genitori non aveva quasi più contatti.

È difficile prender sonno quando la coscienza ti grida nel cervello che sei un ladro e un vigliacco.

Oramai si è fatta l’alba, Cristiano non ha dormito un solo minuto e ha potuto elaborare la situazione.

La cruda realtà è che Geneviève è morta e l’appartamento non le serve più.

Lui invece ne ha bisogno. Si sta facendo un mazzo per arrivare alla Laurea e forse, anzi, sicuramente, questo è un segno del destino che finalmente vuole dargli una mano.

Un paio di ore dopo il ragazzo pedala verso la Gran Madre, sale le scale del palazzo, e facendo attenzione che nessuno lo noti, entra nell’appartamento di Geneviève.

Tutto è come la sera prima, ma meno inquietante.

Il sole trafigge le finestre e la TV suona un pezzo di Sting.

Illuminata dalla luce del giorno la ragazza sembra meno morta della sera prima, e Cristiano non ha problemi a prenderla in braccio, avvolgerla in una coperta e sdraiarla sul divano.

Durante la giornata prende confidenza con la casa e in un paio di viaggi trasferisce lì le sue cose. Abiti, computer, libri e le foto della famiglia.

Cerca e trova le chiavi della cantina e a notte inoltrata porta il corpo di Geneviève nell’interrato del palazzo, chiudendola in un vecchio baule. Con la temperatura fredda e costante che c’è lì sotto il corpo dovrebbe mantenersi piuttosto bene.

Passano un paio di giorni e a Cristiano sembra che quella sia la sua casa da sempre.

Ma la menzogna, a volte, è come la valanga, che parte piccola piccola, poi aumenta di velocità e dimensione e finisce per travolgere tutto ciò che gli si pone davanti, anche colui che l’ha generata.

Agli amici Cristiano racconta che si è trasferito a casa della sua nuova ragazza.

Risponde a un paio di messaggi arrivati sul cellulare di Geneviève, scrivendo di esser dovuta tornare a Parigi per accudire la mamma malata e non sa quando potrà far ritorno.

Racconta la stessa bugia anche alla vicina di pianerottolo, una vecchina che odora di muschio, che un mattino lo ha bloccato sul pianerottolo per farsi restituire il piatto col quale qualche giorno prima aveva portato una torta per Geneviève.

E proprio quel giorno, gustando l’ultima fetta, il ragazzo si rende conto che al mattino, sul tavolo, di torta ce n’era molta di più.

«E chi cazzo l’ha mangiata?» si chiede guardandosi intorno e incrociando lo sguardo di Federico. «Tu, salsiccia sbavante, di sicuro non sei stato visto che non sei in grado di salire sul tavolo, vero?» Poi nota che la bicicletta è stata spostata dinanzi la porta rossa, quella che lui una volta aveva confuso per il bagno.

Cristiano ora ha paura.

Qualcuno è entrato in casa e ne è uscito senza difficoltà.

E se la vita di Geneviève fosse stata un po’ più complessa di quel che potesse sembrare?

E se ci fosse un compagno?

E se non fosse morta cadendo?

E se fosse… stata uccisa?

Cristiano non sa che fare, fruga fra le cose della ragazza in cerca di indizi e si rende conto di non aver analizzato attentamente le ferite sul cadavere. Torna in cantina, riapre il baule e, mentre cerca le tracce di un possibile omicidio, si accorge che il pugno chiuso della ragazza nasconde qualcosa. A fatica schiude un paio di dita oramai rigide e intravede quella che sembra essere una moneta antica, probabilmente d’argento, raffigurante un Faraone o una qualche divinità egizia.

Cristiano ha sempre più paura. Ma cosa significa quella medaglia? Forse, come nei film gialli, è un segnale della vittima per indicare l’assassino. O magari è l’unica di tante monete che è riuscita a trattenersi durante una rapina?

E perché ora il volto e le mani di Geneviève sono così viola? E se fosse stata avvelenata? E se fosse stata avvelenata con la torta, quella di cui lui ha mangiato l’ultima fetta? La vecchia vicina di casa d’altronde è molto strana, e fa un sacco di domande…

Cazzo!

Risale in casa e corre in bagno. Si sforza di vomitare e ci riesce. Poi esce velocemente di casa e si reca nella ferramenta del quartiere, dove compra una nuova serratura per il portoncino d’entrata.

È difficile prender sonno quando si ha paura.

È mattino, il ragazzo è sdraiato sul letto e fissa gli affreschi sul soffitto quando sente Federico abbaiare e correre verso l’entrata. Qualcuno sta armeggiando con la maniglia, poi bussa con forza alla porta.

Cristiano passa attraverso la cucina e prende un coltello poi, con cautela, apre.

Un ragazzo spalanca la porta, entra con fare deciso e senza chiedere il permesso si dirige verso il soggiorno.

«Ciao. Non c’è Gene?»

Cristiano lo segue «Ehm. No,  è via per qualche giorno… la mamma… Parigi…»

«Che ha la serratura di casa?» Chiede il tizio mentre preleva una chiave nascosta fra le pagine di un libro.

«L’ho cambiata. Era rotta.»

«Dammi poi una copia della nuova chiave, devo dar da mangiare ai ragazzini tutti i giorni, altrimenti…»

La porta rossa si spalanca, rivelando un piccolo zoo illuminato e scaldato da grosse lampade arancioni.

Lucertole, gechi, ragni pelosi e serpenti colorati.

Il ragazzo distribuisce un po’ di cibo fra le teche, poi prende due tartarughe, le adagia dentro una cassetta di polistirolo, esce e richiude la porta a chiave. Poi, prima di andarsene, getta due banconote da cinquecento euro sul tavolo.

«Di’ a Gene che l’affitto di febbraio è pagato, mi sono trattenuto il resto per i polpi blu. Lei lo sa.»

Cristiano lo vede sparire nell’androne delle scale e, seguendolo dalla finestra, lo osserva mentre entra nel negozio di animali di fronte a casa di Geneviève.

Poi riprende la chiave dal libro ed entra nella stanza-zoo.

Osserva una a una le teche con tutti quegli animali strani poi fa una ricerca in Internet e pian piano scopre che sono tutti esemplari esotici, rari, e che la maggior parte di essi appartiene a razze di cui è vietata l’importazione.

Si documenta, legge, indaga, e scopre che il contrabbando per quei generi di animali ha un giro d’affari milionario. Ognuno di quei compagni di appartamento vale migliaia di Euro e ce ne sono anche di rarissimi.

Alcuni sono velenosi, persino letali.

Ora è tutto chiaro. Nessun omicidio, nessun assassino.

Semplicemente Geneviève è scivolata, ha battuto la testa ed è morta.

E ora il ragazzo ha una casa, e un introito sicuro.

Cristiano è coricato su una poltrona di design, una Le Corbusier ricoperta di pelle di mucca, nel soggiorno di un elegante appartamento della pre-collina torinese.

Ha 22 anni e una barba da hipster, di quelle che usano i ragazzi di oggi. Si è fatto da poco una doccia e ora, nudo, sta ascoltando un vecchio 33 giri di vinile: France Gall, una giovane cantante francese degli anni sessanta.

Ha gli occhi chiusi, è sereno, quasi felice, e sta meditando quanto la fortuna, o il destino che dir si voglia, questa volta siano stati dalla sua parte.

Invece no.

Mentre si sta godendo l’inizio della sua nuova vita getta lo sguardo sull’acquario trafitto dai raggi del sole, che illuminano i polpi esaltandone gli anelli blu-viola. Sono fantastici.

Poi nota qualcosa di luccicante sul fondo dell’acquario. Sembrano gioielli.

No, assomigliano più a delle monete.

Anzi no, sono monete d’argento.

Si avvicina, immerge un braccio nell’acquario e ne afferra un paio.

Un polpo si avvicina, Cristiano prova ad accarezzarlo, ma viene ricambiato con un leggero pizzico sul polso.

Afferra un paio di monete e le analizza.

Sul fronte lo stesso volto della moneta nel palmo di Geneviève.

Sul retro una scritta:

FAC-SIMILE – Buono valido per un kebab da Karim l’egiziano. Via Po 47.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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