Medina: Milano da morire

Medina: Milano da morire di Andrea Carlo Cappi

Il mio nome è Carlo Medina e mi occupo di intrighi e di omicidi.

Non di risolverli. Di organizzarli.

Nei primi anni Novanta la Milano da bere perde la sua maschera di benessere, diventando la Milano da morire. Coinvolto suo malgrado in un intrigo, il pubblicitario Carlo Medina scopre che la sua creatività può essere applicata con successo anche al delitto.

Il mercato ha nuove esigenze, che possono essere soddisfatte mediante l’inganno e l’omicidio. Sono questi i servizi offerti da Medina con l’aiuto di Barbara, ex-pornoattrice, e Ray, nipote di un atipico boss del crimine. Torna la raccolta delle prime quattro avventure dell’antieroe che rivoluzionò il noir italiano e le cui vicende si sarebbero intrecciate con quelle di Nightshade, dando vita a un unico grande ciclo thriller.

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Medina: Milano da morire:

1

Milano, 3 dicembre 1993

Era il suo primo omicidio premeditato e non voleva fare brutte figure.

Carlo Medina era nervoso, come uno studente la mattina degli orali. Portò la mano alla tasca del cappotto, cercando d’istinto il conforto di una sigaretta. Trovò invece un oggetto pesante, metallico, alla cui presenza non era abituato.

Ricordò di avere lasciato pacchetto e accendino sulla scrivania: aveva pensato che un filo di fumo o l’odore del tabacco potessero tradire la sua presenza. E un mozzicone di caporal senza filtro avrebbe potuto guidare gli inquirenti fino a lui.

Eccesso di cautela?

Pessimismo?

Forse un professionista avrebbe riso di lui.

Ma l’uomo che doveva uccidere, di certo, non lo avrebbe trovato divertente.

2

Prima: 1986-1993

Era entrato alla Watson negli anni Ottanta, l’era dei grandi budget pubblicitari. Gli anni in cui la parola d’ordine era stupire. Il primo a stupirsi era stato lui: Carlo Medina era nato per essere un creativo e nemmeno lo sapeva.

Il suo ingresso in agenzia era stato quasi casuale: un suo curriculum, anziché nel cestino, era finito per errore tra quelli dei bocconiani da convocare per una selezione. La Watson Italia cercava un laureato in economia per l’ufficio mezzi. Medina, che non aveva finito l’università, era stato chiamato per un colloquio nella sede in corso Vittorio Emanuele, in pieno centro di Milano. Dal momento che nessuno voleva ammettere di aver commesso uno sbaglio, era stato messo in fondo alla lista.

Il colloquio aveva avuto inizio dopo tre ore di attesa, intorno alle ventuno e trenta, ed era consistito in un vero duello intellettuale con la più spietata selezionatrice della Watson. Dopo novanta minuti di discussioni e provocazioni, atte a valutare le reazioni del candidato, la selezionatrice si era accasciata sulla poltrona e aveva dichiarato con un sogghigno di soddisfazione: «Lei deve fare il copy

Pochi giorni dopo, Medina veniva invitato a presentarsi nell’ufficio di Daniele Marco, presidente della Watson Italia. Nel giro di una settimana entrava in servizio come autore di testi pubblicitari. In un paio di mesi era diventato il negro ufficiale di Antonio Lagarto, uno dei copywriter di maggior prestigio sulla piazza milanese. Medina si era formato la convinzione che Lagarto fosse piuttosto ignorante e privo di fantasia, ciononostante i clienti pagavano più volentieri se gli si diceva che i loro prodotti venivano affidati a lui.

Dopo due anni, Medina ne era diventato la controfigura creativa: per ordine di Marco, scriveva anche gli articoli che Lagarto firmava per le riviste specializzate. Il presidente aveva preso questo provvedimento dopo che il celebre copy si era esibito per iscritto in alcuni clamorosi strafalcioni, come aut aut scritto out out. Insistere a fargli tenere la penna in mano avrebbe leso irrimediabilmente l’immagine della Watson.

Questi dettagli, in ogni caso, non avevano rallentato l’ascesa di Lagarto fino alla poltrona di direttore creativo dell’agenzia, favorendo al tempo stesso anche la carriera del suo ghostwriter. Era stato a quel punto che Medina aveva conosciuto Padovani, la cui presenza in agenzia era quasi più inspiegabile di quella di Lagarto.

Mario Padovani era poco più che ventenne, felicemente laureato e qualificato come esperto di marketing. Frequentava i migliori salotti di Milano, conosceva assessori e ministri, e guidava una Ferrari. In apparenza, tutto ciò gli lasciava pochissimo tempo da sprecare con il lavoro. Poi un giorno Medina capì che il suo lavoro era proprio quello.

Al livello più basso, il giovanotto curava i rapporti con la Guardia di Finanza. Più volte si era visto un tipo sospetto presentarsi in agenzia per appartarsi in un ufficio con Padovani. Un giorno Medina si trovò in ascensore con l’individuo in questione: un uomo basso e piuttosto solido, con un vistoso neo su uno zigomo. A prima vista aveva l’aspetto di un gangster ma, dopo qualche tempo, captando qualche voce di corridoio, il copy appurò che si trattava dell’incaricato della riscossione delle bustarelle.

Ad alto livello, invece, Padovani intesseva amicizie, spianava strade, garantiva protezioni. E si assicurava il sempre crescente budget pubblicitario di partiti e uomini politici. Il che aveva portato alla creazione di un gruppo creativo specializzato, una task force pronta a ideare brillanti slogan per anticipare e controbattere in tempo reale qualsiasi critica o polemica. All’approssimarsi di ogni scadenza elettorale, Medina rimpiangeva i detersivi e i profilattici.

Se il lavoro era buono, faceva seguito l’inevitabile redemption. I candidati, una volta eletti, garantivano alla Watson l’incarico per campagne istituzionali del Comune, del Ministero e così via. La politica diventava il motore segreto dell’agenzia.

Ma niente dura in eterno.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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