Lo scrigno

Lo scrigno di Fausto Senesi

Una casa misteriosa, un jocker che tutto sa e niente perdona. Se amate l’horror psicologico è il libro per voi.

Sette compagni di scuola si ritrovano diciotto anni dopo la maturità per una rimpatriata. Il ristorante sul lago dove si stanno recando promette una giornata all’insegna della spensieratezza e dei ricordi peccato che non lo raggiungeranno mai.

Jolly il Matto, una misteriosa figura, onnisciente e imprevedibile, li dirotterà verso un casolare isolato nel quale, inspiegabilmente, vi sono oggetti quotidiani che i sette amici riconoscono come loro. Vi sono però anche un quadro che cambia in continuazione, un inquietante pupazzo, un misterioso piatto di ossidiana con una stella incisa sopra e, nascosto in cantina lui, lo Scrigno, chiuso da una chiave che non si trova.

Imprigionati e isolati dal resto del mondo in un luogo dove le leggi della natura sono sovvertite e terribili, i sette compagni dovranno indagare dentro loro stessi, affrontare le proprie frustrazioni e paure per fuggire da quell’incubo.  Riusciranno a fronteggiare i mostri che ciascuno nasconde nel profondo dell’anima?

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Lo scrigno:

Gioco primo

Il bambino si travestì da giullare.

Cappello a tre punte con sonaglietti, casacca arcobaleno e babbucce ai piedi. Andò allo specchio, si truccò la faccia di bianco e aggiunse alle labbra un sanguigno sorriso beffardo. Ecco, ora poteva chiamarsi Jolly il matto. Raggiunse l’armadio, prese la scatola del Lego e rovesciò tutti i mattoncini per terra. Un’allegra cascata di colori s’allargò sul tappeto; uno scroscio di cubi, prismi e parallelepipedi che si sparpagliavano da tutte le parti.

Jolly il matto iniziò a costruire la sua casa.

La tirò su con amore, con calma e senza fretta, mattone dopo mattone; riflettendo bene su ogni posa per conferire il giusto equilibrio. La progettò con molte stanze; edificò una cantina, uno sgabuzzino e perfino un camino. Divenne la più grande opera che avesse mai costruito. Ne andava orgoglioso e ne fece il suo mondo. Quando la terminò si fermò ad ammirarla estasiato. Era bellissima. Però appariva statica. Non c’era vita al suo interno.

Fu allora che decise che sarebbe stata stregata.

1. Compagni di scuola

«Siete mai stati in una casa stregata?»

La domanda aveva colto di sorpresa tutti. Fabrizio, alla guida della sua monovolume – una Fiat Ulysse a sette posti – attendeva la risposta. Sorrideva, mentre lasciava il Raccordo Anulare, per immettersi sulla Cassia bis in direzione di Viterbo.

«È lì che ci stai portando?» indovinò Edoardo, seduto al suo fianco.

«Vedrete che posto, gente» annuì Fabrizio. «Un vecchio edificio ristrutturato, situato in mezzo al verde con vista sul lago. Antipasto, primo, secondo, dessert, caffè e bevande incluse: ventidue euro a testa. Impossibile non rimanerne stregati.»

«E il cibo è anche commestibile?» ironizzò Roberto, alle sue spalle. Antonella, che sedeva al suo fianco, rise.

«Adesso pretendi troppo, Robby.»

«Sì, sì… fate gli spiritosi, voi» ribatté Fabrizio. «Una volta mangiato lì, qualsiasi altro posto vi sembrerà il refettorio della scuola. E poi hanno una birra d’importazione unica in Italia.»

«Come hai detto che si chiama questo ristorante?» domandò Cristina. La donna, a causa del suo pancione, sedeva all’ultimo posto per stare più comoda.

«Il lago nel pagliaio» rispose Fabrizio. «Lo hanno aperto l’anno scorso, proprio sulle sponde del lago di Vico. E non ti preoccupare per la linea da futura mamma, là si mangia tutta roba sana. Me lo ha fatto conoscere un mio cliente di Ronciglione.»

«Mi sembra il minimo, dopo che gli hai rimesso il cesso nuovo» scherzò Roberto.

«I sanitari già c’erano. Io mi occupo di rifinitura estetica: portasciugamani, mobiletti specchiati, cassettiere e accessori vari.»

«Una bella differenza, da quando volevi aprire un night ai tempi della scuola.»

«E tu invece?» replicò Fabrizio. «Come sei finito a fare l’operaio, dopo la maturità?»

«Ho trovato posto nella ditta di mio zio… l’università non faceva per me e non avevo raccomandazioni per vincere concorsi.»

«Una storia comune a molti destini» commentò Edoardo. «Quando sei nell’ambiente scolastico credi che il mondo del lavoro stia aspettando solo te per offrirti onore e gloria, ma una volta uscito da lì ti rendi conto di essere solo un povero sfigato come tanti, alla ricerca di un’occupazione qualsiasi, purché eroghi un banale stipendio.»

«Beh, a te non è andata così» osservò Antonella. «Ti è sempre piaciuto studiare, e oggi insegni lettere in un liceo, di che ti lamenti? La professoressa Sanni – ve la ricordate? – sarebbe orgogliosa di te; prendevi sempre nove nei compiti in classe.»

Edoardo si voltò a guardarla. Antonella Lari. Mitica ragazza bionda di antiche pulsioni giovanili. Diciotto anni in più non le avevano cancellato l’avvenenza di una donna sempre un gradino sopra tutto. Indossava una gonna elegante nera con sopra un giubbetto di classe che esaltava il suo essere sbarazzino. Trucco ben calibrato sui capelli mossi e gli occhi verdi. Molto diversa dalla mora Cristina Cleri, là in fondo, che con i capelli raccolti e chiusa nel suo lungo vestito, proteggeva il nascituro con devozione materna. Non più liceali, certo, ma erano rimaste sempre due bellezze complementari.

«È vero», ammise il professor Edoardo Benni, «ho raggiunto degli obiettivi… ma ho pagato altri prezzi, amica mia. E non sempre ho avuto ciò che speravo dalla vita. Lasciamo stare poi le specializzazioni che, in questo paese, lasciano il tempo che trovano.»

«Se è per questo, nemmeno io credevo che avrei fatto l’impiegata alle poste» ammise Antonella. «Però questo ho trovato e devo considerarmi fortunata di questi tempi, ad aver vinto il concorso. Anche se è un lavoro abbastanza palloso per me.»

«Io credo che bisogna avere la mente aperta» asserì Cristina. «Non aspettarsi nulla e sperimentare sempre nuove strade. Io ho fatto tanti lavori e ciascuno mi ha dato esperienze diverse. Sono stata barista, commessa, benzinaia, baby sitter, cameriera…»

«Insomma, sei una che non ha trovato mai pace» concluse Fabrizio.

«No, la pace gliel’ha data il marito, facendole quel regalino che le gonfia il vestito» precisò Roberto. «Ora, cara Cristina, sei praticamente una casalinga forzata. Goditi quindi la tranquillità finché puoi. Dopo ci saranno solo pannolini e notti insonni.»

«Tu non hai figli, vero Roberto?» lo sfotté Antonella.

«No, ma in compenso ho già un divorzio sulle spalle e me lo faccio bastare. E poi con il mio lavoro non potrei mai godermeli, sto in giro tutto il giorno e con il furgone aziendale faccio più chilometri io di un tassista.»

Fabrizio sghignazzò complice. In fondo, lui e Robby erano simili. Perfino nel modo casual di vestire ancora oggi a quattro passi dagli anta. Moro e stempiato lui, castano chiaro, l’amico. Niente a che vedere con Edoardo, che dimostrava già dieci anni di più, a causa di quel problema di salute.

«Neanche tu hai famiglia, mi hai detto» gli chiese Roberto.

«No, io vivo da solo in un appartamento dei miei, e dopo tanti divertimenti, mi faccio bastare, per ora, una nuova relazione iniziata da appena un mese, poi vedremo.»

«Ma dai!» esclamò Cristina. «Perché non hai fatto venire anche la tua donna oggi, così ce la presentavi.»

«Questa è una rimpatriata tra vecchi compagni di scuola. Sono ammessi soltanto gli appartenenti alla mitica sezione F, non dimenticarlo.»

«Già», concordò Antonella, «peccato però non esserci tutti: di una classe di ventitré persone che eravamo, ci ritroviamo solo in sette.»

«Beh, dopo diciotto anni è difficile riunire tutti» commentò Edoardo. «Le persone cambiano, si spostano, spariscono, oppure semplicemente non desiderano rivangare il passato.»

«Infatti, non tutti quelli rintracciati su Facebook mi hanno risposto come avete fatto voi» spiegò Fabrizio.

«Siamo in sette, ma siamo anche i migliori!» elogiò Roberto, dando una pacca a Fabrizio.

«A proposito», chiese Edoardo, «come mai Manuel e Marina ci hanno dato appuntamento a metà strada?»

«La Vicari si è trasferita a Formello, poiché è stata dislocata in un commissariato di Viterbo. È entrata in polizia, lo sapevate?»

«Ma dai!» esclamò il professore.

«Abbastanza prevedibile» commentò Antonella con sufficienza.

«In effetti, Marina ha sempre avuto il senso della giustizia» osservò Cristina. «Un po’ maschiaccia, ma sempre affascinante, non vedo l’ora di riabbracciarla.»

«Ma chi? La lesbicaccia?» ironizzò Roberto.

«Ma che cattivo che sei, Robby! Non è vero che è lesbica!»

«Hai ragione, Cristina, scusami, in effetti ora impugna le armi… predilige quelle a canna lunga!»

Antonella scoppiò a ridere e Fabrizio non poté non fare altrettanto, dando tuttavia all’amico dello stronzo.

«E Manuel Medaglia?» volle sapere Edoardo.

«Lui è l’unico che non ho trovato sul social network» spiegò Fabrizio. «L’ho incontrato circa un mese fa che suonava il piano in un locale di lusso. Non l’ho trovato molto lucido. Mi ha blaterato di una vita incasinata e ci siamo scambiati i numeri di telefono. Ieri mi ha confermato che ci avrebbe raggiunto allo stesso appuntamento di Marina. Non so perché, ma anche lui si trova da quelle parti; però conoscendolo è probabile che non venga… ve lo ricordate? A parte qualche ruga in più, è rimasto il solito cazzone di sempre.»

Svincolo di Formello: distributore Agip.

Un’utilitaria entrò nell’area di servizio, costeggiò le pompe di benzina e si fermò accanto al piccolo bar. A bordo, due donne: una con la divisa della polizia, l’altra in borghese. Un saluto, un bacio, un grazie tante, poi la donna in borghese scese dall’auto, mentre la collega che doveva montare di servizio tornò sulla strada e proseguì in direzione di Viterbo.

La donna che aveva usufruito del passaggio, aveva i capelli corti, neri e portava gli occhiali da sole. Indossava una casacca militare sopra jeans aderenti che enfatizzavano la sinuosità dei fianchi. Nessuna borsetta con sé: le tasche della giacca erano sufficientemente capienti per gli effetti personali. E coprivano bene la fondina della pistola d’ordinanza.

Marina guardò l’orologio. Era in anticipo di un quarto d’ora. Bene. Guardò in direzione della Cassia dove sarebbero arrivati di lì a poco i suoi vecchi compagni di scuola. Diciotto anni che non li vedeva. Provò una piacevole emozione nell’immaginarseli dopo tutto quel tempo. Fabrizio Corsi aveva organizzato la rimpatriata. Chi c’era con lui? Roberto Gaglio, Edoardo Benni, Cristina Cleri… e anche la fatalona della sezione F, Antonella Lari. Se li ricordava tutti. Le tornarono in mente brevi flash di aneddoti scolastici. E forse ci sarebbe stato anche Manuel Medaglia, l’artista.

Lui, comunque, l’aveva già incontrato qualche anno prima, quando aveva fatto servizio d’ordine al concerto di Tony Varga. Manuel era il pianista della band e Marina era riuscita a incontrarlo nel backstage. Avevano scambiato piacevolmente due chiacchiere e si erano dati il numero di telefono. Però non si erano più risentiti, poiché il telefono di Manuel era sempre irraggiungibile. Poco male. Forse quel giorno l’avrebbe rivisto.

Marina alzò gli occhi al cielo. La giornata era limpida e serena. L’aria profumava di campagna. Il tiepido sole di marzo annunciava l’avvicinarsi della primavera e c’era un buon via vai di persone tutt’intorno.

Tuttavia, in quella mattina di sabato, avvertiva un vago presentimento. Qualcosa d’indefinito legato a l’incontro con il passato, che la rendeva irrequieta. No, forse era solo nervosismo. Ansia di dare una sbirciata a come si fossero trasformati i ricordi. Cercò di essere propositiva. Dopotutto era lì per divertirsi e trascorrere spensierata il suo giorno libero.

Entrò nel bar e ordinò un caffè. Si sedette a uno dei tavolini accanto alla vetrata e aspettò.

S.S. Cassia bis, uscita Formello-Olgiata.

Fabrizio mise la freccia, rallentò e salì la rampa sulla destra. Breve inversione di marcia. Stop. Freccia a sinistra e via verso il distributore, dall’altro lato della strada.

«Ragazzi, devo fare benzina, voi scendete intanto e guardate se sono arrivati.»

«Eccola!» esclamò Cristina. «Non è Marina, quella che sta uscendo dal bar?»

«Sì, è lei» confermò Roberto. «Però, mica male com’è diventata; me la ricordavo… diversa!»

Marina vide la monovolume di Fabrizio accostare a una delle pompe. Riconobbe le persone che ne scesero e che la stavano salutando. Si alzò gli occhiali da sole sulla fronte, scoprendo grandi occhi azzurri, e si diresse verso di loro sorridendo.

«Ciaoooo! Come state? Vi trovo benissimo!»

Seguirono baci, abbracci e complimenti reciproci. Intanto Fabrizio ordinò al benzinaio venti euro di carburante.

«E questo bel pancione?» volle sapere Marina, accarezzando il ventre di Cristina.

«È qui da sette mesi.»

«Maschio o femmina?»

«Maschio. Mio marito non era d’accordo che facessi questa uscita con voi, in questo stato. È un tipo apprensivo.»

«Meno male che era di turno in ospedale», interloquì Fabrizio, «altrimenti sarebbe venuto pure lui oggi e avremmo avuto un clandestino.»

«Che lavoro fa tuo marito?» domandò Marina.

«È medico.»

«E tu Marina?» domandò Roberto. «Dove hai lasciato il tuo uomo?»

«La domanda esatta è quando l’ho lasciato! E la risposta è: sei mesi fa, dopo quattro anni di convivenza. Ora vivo da sola in un appartamento giù in paese.»

«Quindi ci sposiamo?» scherzò il compagno.

«A tuo rischio e pericolo, Roberto, anche se non sei il mio tipo.»

«Brava Marina!» suggerì scherzosa Antonella. «Frequenta più uomini che puoi e poi scegli di passare la vita con il meno peggio.»

«Non mi dire, Antonella, che non hai ancora smesso di passare da un banco all’altro?» replicò ironica l’amica.

«Smetterò quando troverò la persona giusta.»

«Che non era Manuel…»

«Manuel era una storia tra ragazzini, Marina, ormai non mi fa né caldo e né freddo.»

«Mmm, perché i tuoi occhi mi dicono il contrario?»

«Guarda che ti sbagli, cara!»

«A proposito, ancora non è arrivato?» osservò Cristina.

«Gli ho appena fatto uno squillo al cellulare», informò Fabrizio, «suona libero, ma non risponde… ve l’ho detto, è il solito cazzone di sempre. Aspettiamo un quarto d’ora e poi ce ne andiamo. Intanto sposto la macchina vicino all’autolavaggio.»

«Insomma Marina», s’intromise Edoardo abbracciandola, «ora sei un pubblico ufficiale… una vita dedita al rischio, oppure stai dietro una scrivania?»

«Tutte e due» rispose la donna ricambiando l’abbraccio. «Quattro anni nell’esercito, tra cui due dislocata in zone di guerra, e poi mi sono congedata per fare il concorso in polizia. Volevo rimanere in Italia e questo mi è costato sette anni di mobile giù a Napoli, prima che mi trasferissero qua. Adesso sono circa quattordici anni che indosso l’uniforme. Mi sono invecchiata, Edo!»

«Non direi proprio, sei solo una bella veterana.»

Marina sorrise. Sempre gentile, Edoardo. A parte gli occhialini tondi da miope, non lo trovò molto cambiato. Aveva la solita capigliatura disordinata ed era rimasto fedele al suo modo di vestire: pantaloni chiari sotto un gilè sportivo, con un marsupio nero legato in vita. Solo quell’espressione affaticata non rendeva giustizia alla sua vera età.

«E tu cosa mi racconti? Fabrizio mi ha detto che insegni. Sei sposato?»

Edoardo non fece in tempo ad accennare a una vita di solitudine, condivisa con il suo gatto, tra libri, incombenze scolastiche e medicine.

Un rombo disumano. Una musica metal sparata a N decibel. Uno stridio di ruote e freni entrarono nell’aria di servizio sotto forma di una Porche Carrera nera, facendo voltare tutti gli avventori.

«L’attesa è finita» dichiarò Edoardo. «Credo che il cazzone sia arrivato!»

La fuoriserie, finestrini scuri mezzi abbassati, parcheggiò a pettine subito dopo l’entrata. Freno a mano, motore spento, musica cessata di colpo e sportello che si apriva.

L’uomo che ne scese era una sorta di Zorro moderno. Capelli lunghi al vento, Ray-Ban specchiati, spolverino nero su pantaloni del medesimo colore, che cadevano a tubo su stivaletti di pelle.

Una sola identità: Manuel Medaglia, detto il Meda.

«Ti prego, Marina», disse Roberto, «fagli una bella multa per eccesso di coglionaggine!»

Film western: sei contro uno che si venivano incontro al centro dell’area.

Manuel si fermò a guardarli sornione uno a uno, senza togliersi gli occhiali da sole. Aveva la stessa espressione canzonatoria di Jim Morrison, quando un giornalista gli chiese quale fosse il suo ruolo.

«Ma guarda un po’ cosa abbiamo tirato fuori dal congelatore» esordì. «Vi trovo in gran forma, ragazzi.»

«Eri troppo impegnato a specchiarti nel retrovisore, per non rispondere al telefono?» lo sfotté Fabrizio. «È da mo’ che ti sto chiamando!»

«Ero già qui», rispose suadente il Meda, «perché farti spendere soldi per dirtelo?»

 Ci furono abbracci formali tra gli uomini e baci sulle guance con le donne.

«Antonella» disse Manuel scrutandola negli occhi.

«Manuel» rispose lei.

«È un piacere vederti.»

«Anche per me… non sei molto cambiato, lo sai?»

«A parte un po’ di cacio e pepe sulla chioma fluente» commentò Roberto.

«Seguo la moda George Clooney, se non ti dispiace!»

«Chi non muore si rivede» lo salutò Marina.

«Sempre alleata con il Sistema, mia cara?» ricambiò Manuel. «Ottima scelta, specialmente di questi tempi. E tu Cristina? Vedo che porti il futuro, dentro di te.»

«Dai forza, ragazzi, andiamo, altrimenti non arriviamo più!» incitò Fabrizio.

«Ma gli facciamo lasciare qua una macchina come quella?» si preoccupò Edoardo indicando la Porche.

«Tranquillo Benni, è solo gomme, metallo e olio… me ne faccio altre venti come quella, andiamo pure. Ah, vi dispiace se mi metto davanti? Sapete, soffro il mal d’auto.»

Uscirono dall’area di servizio e ripresero la Cassia in direzione di Nepi.

Manuel aveva preso il posto di Edoardo, davanti. Roberto faceva il beato tra le donne attorniato da Antonella e Marina, mentre Edoardo era andato a fare compagnia a Cristina all’ultimo posto.

«Allora Manuel, quel gioiellino che ti sei fatto? Hai vinto al Gratta e Vinci?» scherzò Fabrizio. «Non credo che il locale dove ci siamo incontrati elargisca tali stipendi.»

«Ma quale locale!» esclamò Marina. «È Tony Varga quello che paga bene.»

«Ma perché, suoni con Tony Varga?» si sorpresero gli altri.

Manuel si voltò sornione, per fronteggiare lo sguardo di ciascuno.

«Vi dico una cosa, cari amici: oggi stiamo pure insieme in onore dei vecchi tempi, ma vi prego di non farmi il terzo grado. La spazzatura è meglio lasciarla dentro il secchio, grazie.»

«Sempre il solito simpaticone!» commentò Antonella.

«Sempre e comunque», ironizzò Manuel, di rimando. «Ed è meglio così, credetemi. A proposito, dove andiamo a mangiare?»

Mission impossible: suoneria del cellulare del Meda. Scusate un attimo.

«Pronto?»

Una sfilza d’insulti e parolacce riempirono l’abitacolo. L’audio era talmente alto che tutti sentirono l’interlocutore come se fosse in viva voce.

«Il buongiorno si vede dal mattino» rispose Manuel imperturbabile.

«Il mattino te lo do io, imbecille che non sei altro!» ribatté l’altro. «Si può sapere chi ti ha dato il permesso di prendere la mia Porche?»

«Dovevo raggiungere degli amici, Giacomo, tu dormivi così bene che mi dispiaceva svegliarti.»

«Cosa? Ma dove sei finito, idiota? Riportamela immediatamente!»

«Non posso, sono lontano ormai, comunque tranquillo, te l’ho parcheggiata al distributore Agip di Formello… allo svincolo che si congiunge con la Cassia Veientana.»

«La Cassia Veientana? Ma sei impazzito?»

«Ma che ti lamenti, Giacomo, hai la seconda chiave, no? E allora vattela a riprendere senza tante storie!»

«Ma mi dici come cazzo ci arrivo io laggiù ora, porca puttana!»

«Eh, come ci arrivi… e che ne so io… fatti dare un passaggio.»

«Ma quale passaggio! E da chi?! Guarda Manuel, quant’è vero che mi chiamo Giacomo, appena ti becco, ti faccio un culo tanto, hai capito, imbecille, cretino, deficiente che non sei altro!»

«Sì, anch’io ti voglio bene!»

Il Meda troncò la telefonata sull’ultimo epiteto. Aleggiò un attimo di sbigottito silenzio in cui tutti guardarono Manuel tra il divertito e il patetico.

«E così tu te ne compri venti di quelle, eh Manuel?» canzonò Roberto, facendo ridere gli altri.

«Io non ho mai usato il verbo comprare, Gaglio» precisò il Meda con aria innocente. «Anche perché sono anni che non compro più una macchina. L’ultima l’ho distrutta un paio d’anni fa addosso a un palo.»

«Adesso ti occupi di quelle degli altri» puntualizzò Marina.

«C’è stata una festa a casa di questo mio amico ieri all’Olgiata», spiegò Manuel, «e abbiamo fatto talmente tardi che è diventato presto. Devo aver bevuto un bel po’. Stamattina mi sono risvegliato su un divano in mezzo a una marea di bottiglie e bicchieri vuoti… ho trovato altri due a smaltire la sbornia insieme a me. Quelli con cui sono arrivato se n’erano già andati. Così mi sono fatto prestare la macchina da Giacomo.»

«Sì, infatti abbiamo sentito lui com’era d’accordo!» rise Edoardo.

«È fatto così, ma poi gli passa» concluse il Meda. «Ehi, ma non c’è qui un posto dove fermarsi per prendere un caffè?»

«Giusto!» approvò Fabrizio. «Ci fermiamo al Casale che si trova sulla strada per Nepi. Non manca molto.»

Mission Impossible, ancora una volta.

«Questo è di nuovo Giacomo!» esclamò divertita Cristina. Ma stavolta Manuel non sorrideva.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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