La scatola

Dal diario di Adriana
Giorno 11

Oggi, in casa come tanti italiani, ho aperto un armadio nel quale avevo accatastato alla rinfusa oggetti e libri proponendomi sempre di  sistemare appena  possibile. Quel  possibile – dopo anni – è arrivato soltanto ora con la pausa per l’emergenza covid e di alcune cose mi ero persino dimenticata. Un bel libro con le poesie di Neruda regalato da un amico con una dedica affettuosa, un cappello di paglia comprato chissà dove, una guida degli Stati Uniti e,  in particolare, una scatola di legno rettangolare intarsiata con qualche foglia di madreperla (forse finta) e una chiusura di ottone ormai rovinata dal tempo.  

I ricordi sono arrivati

Ho faticato per tornare indietro con la memoria ma, ecco, che i ricordi sono arrivati. Marocco – forse tra il 1987 e il 1990 – in una località ai confini con il deserto durante un viaggio organizzato ma estremamente faticoso.  Siamo rimasti  diversi giorni  nella polvere e nel caldo insopportabile di un hotel con l’aria condizionata rotta sperimentando per forza di cose la realtà della vita in quei paesi. Nel tardo pomeriggio – quando pensavamo che il vento caldo del deserto fosse più clemente – ce ne andavamo nelle  botteghe di tappetti e di oggetti a intessere estenuanti trattative per gli acquisti, articolando qualche parola di inglese o di francese che rendesse espliciti i nostri obiettivi. 

Una coppia di Milano aveva puntato su un tappeto enorme mentre un’altra coppia, che sul  pullman aveva litigato per tutto il tempo, si era ritrovata a desiderare con comune ardore un tavolino scuro provvisto di  zampe tarchiate. Durante le trattative il negoziante ci offriva una bevanda bollente spiegandoci a suo modo che era consigliata per resistere al caldo, visto che l’acqua fresca era comunque un lusso non consentito.

Ne era valsa la pena

Al terzo giorno di trattative il titolare della bottega ci aveva già chiesto farmaci per il mal di testa e per il mal di denti, mostrandoci la sua bocca segnata dalle carie. La notte ci accasciavamo sulle lenzuola incandescenti e riuscivamo a dormire non più di 15 minuti. Poi ci facevamo la doccia e ci lasciavamo catturare per altri 15 minuti dal torpore e dall’inedia di quella condizione per noi anomala. Per metà tornammo da quel viaggio dimagriti e con qualche sgradito virus in corpo ma ci sembrava che ne fosse valsa la pena. Intanto perché le luci del deserto sono indimenticabili e poi perché alla fine della trattativa lo sconto per l’acquisto della scatola di legno fu sostanzioso. Vorrei aprire ogni giorno una scatola. Per ritrovare le cose belle custodite dentro. I nostri ricordi che troppo spesso svaniscono.