La maledizione di Torbiano

La maledizione di Torbiano di Roberto Pareschi

Un giallo inaspettato, un horror che scava nei recessi dell’anima.

Un uomo giunto alle soglie della vecchiaia affronta un viaggio verso le sue origini decidendo di tornare a Torbiano, il paese da cui era fuggito ancora giovane e dove pensa di ritrovare la moglie che lo ha lasciato da molti anni. Ma il male è costantemente presente in ogni elemento di quel paesaggio, di quel paese maledetto.

In un crescendo di continue scoperte subirà una raffinata vendetta e, soprattutto, dando peso alle rivelazioni di una donna misteriosa scoprirà l’esistenza di un patto blasfemo che rende Torbiano un villaggio di dannati.

Un romanzo horror che trasforma la vita in morte e dove la realtà supera di gran lunga la fantasia.


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La maledizione di Torbiano:

PROLOGO
Devo essere passato di qui.

Sugli stipiti della porta erano ancora ben visibili le tacche delle mie diverse altezze che nonna Maria segnava ogni anno con una matita. Le vedevo proprio di fronte a me e mi commuovevo. Entrai in punta di piedi nella piccola cucina, cercando subito con lo sguardo la stufa smaltata di bianco. Sopra il pianale era ancora appoggiata, esattamente dove l’avevo lasciata, una pentola di rame coperta da un coperchio tutto rovinato.

Ero stato io a rovinarne i bordi e la forma, improvvisandomi per gioco fabbro, convinto di poter fare un ottimo lavoro. Lo avevo mostrato orgoglioso a nonna Maria, che aveva sorriso. Ricordo ancora quel particolare. Mi sentivo importante per essere riuscito ad aiutare i nonni. Invece avevo semplicemente distrutto un ottimo coperchio. Quante cose sbagliate ho fatto da allora, convinto di avere realizzato una cosa importante? Quante volte gli altri hanno sorriso per non ferirmi? Mi sembrò in quel momento che molti dei miei problemi nascessero proprio da quel coperchio. Ho sempre cercato prima di ogni altra cosa l’approvazione degli altri. E non mi sono mai occupato di ciò che stavo facendo. Non sono mai riuscito a capire se i miei mille coperchi fossero davvero utili agli altri oppure solo a me stesso.

Avevo finalmente trovato il coraggio di ritornare a Torbiano, per inventarmi una nuova storia da protagonista. Me lo confermavano tanti piccoli particolari. La ritrovata voglia di capire e capirmi. Il feroce desiderio di affrontare la realtà. Il sottile piacere di ritornare a pensare a me stesso. Erano segnali decisivi per la mia rinascita. Provavo anche una nuova fiducia verso il mondo. Per questa ragione, forse per la prima volta durante tutta quanta la mia esistenza, le anime degli altri esseri umani non mi scivolavano più accanto impalpabili, senza lasciarmi neppure una emozione, ma invece riuscivo a bloccarle, farle mie e comprenderle.

Ero finalmente pronto a iniziare l’ultimo viaggio, quello più difficile, alla ricerca dell’uomo che un tempo ero stato e che un giorno forse sarei tornato a essere.

Ma per riuscire nel mio intento, dovevo ancora trovare il coraggio di confrontarmi con un nome importante e con tutte le emozioni che quel nome aveva sempre saputo evocare nel mio animo. Angela. Lei che, dopo essere stata per anni la mia compagna, un giorno aveva improvvisamente deciso di abbandonarmi. Per quel gesto la avevo profondamente odiata. Poi avevo cercato inutilmente di dimenticarla. A un certo punto della mia vita ero perfino giunto a giustificarla. Ma mai, prima di allora, mi ero spinto a cercarla nel luogo stesso in cui tutto aveva avuto inizio. Torbiano. Il piccolo borgo in cui io e Angela eravamo nati e poi cresciuti. Un luogo del tutto insignificante, perduto in mezzo a una pianura senza confini, privo di una storia propria e probabilmente senza un qualsiasi futuro. Un paese diverso da ogni altro paese, popolato da individui indecifrabili, che avevano fatto della loro solitudine uno stile di vita. Un gruppo di uomini e donne aggrappati da sempre alle loro tradizioni, che nulla chiedevano alla loro esistenza terrena se non di continuare a sopravvivere e lavorare sulla stessa terra su cui avevano vissuto i loro padri.

1
Angela, unica occasione
per provare a vivere

Durante tutti questi anni ho sempre pensato che solamente le ore trascorse in compagnia di Angela, siano state capaci di donare alla mia esistenza un qualche significato. Angela. La sua figura esile, la sua dolcezza istintiva e il continuo apparire, in ogni occasione e in ogni luogo, una donna diversa dalla precedente, sono stati l’unico vero motivo per provare a vivere. Amavo tutto di lei. Il suo corpo leggero ma ben modellato. I lunghi capelli castani che ricadevano fitti, appoggiandosi sulle spalle. Il volto largo, da donna, un pò piatto, con un profilo leggermente spigoloso che la rendeva ancora più interessante. I suoi seni ben modellati. Le mani lunghe e affusolate, che spesso accompagnavano, modellandole, le sue movenze femminili. Conservo tra gli altri il ricordo di una notte trascorsa in sua compagnia, durante una caldissima estate. Io, lei e il prato del diavolo.

Il prato del diavolo si trovava appena fuori dall’abitato di Torbiano, dove la campagna si trasformava in una enorme e ordinata distesa di linee intersecanti. Tra quelle rette ben disegnate, che evocavano perfetti teoremi geometrici, si faceva notare un piccolo prato. Per raggiungerlo occorreva percorrere un sentiero in terra battuta che partiva dalla piazza centrale del paese e spingendosi verso la campagna, tagliava in due parti uguali i campi che attraversava. Seguendo questo sentiero, dopo qualche minuto si poteva incontrare una porzione di terreno libera da colture ma interamente ricoperta di erba, che era conosciuta per una sua strana caratteristica. In ogni stagione dell’anno, durante l’inverno o in piena estate, era capace di mantenere intatto il suo tappeto erboso. Il prato aveva un intenso colore verde smeraldo, brillante, quasi vivo che durante l’inverno stupiva per il suo contrasto con la terra brulla e grigia che lo circondava e durante l’estate appariva la macchia di colore più fresca e più rigogliosa della campagna. Nessuno, in tanti anni, era mai riuscito a trovare una spiegazione scientifica a questo strano fenomeno e molti in paese avevano finito con l’interpretare il prato e il suo verde perenne come un’inspiegabile manifestazione sovrannaturale. Per questa ragione la gente di Torbiano con il passare del tempo si era abituata a chiamare quel luogo il prato del diavolo. Per molti di loro infatti quell’erba rigogliosa, sempre verde, non poteva che essere il frutto di qualche misterioso sortilegio messo in atto dalle forze del male.

Ricordo ancora benissimo la prima notte che abbiamo trascorso insieme.

La solita luna, ancora più potente e liquida del solito, risplendeva in un cielo terso e pulito di nuvole. Il suo globo luminoso si era impadronito dell’intero prato, donandogli una tonalità ancora più vivida e quasi irreale. Distesa accanto a me c’era Angela. Dopo mesi di inutili tentativi, avevo finalmente trovato il coraggio di parlarle. La toccavo. Mi apparteneva.

«Da molto tempo ho scoperto di volerti bene ma solo questa sera ho trovato il coraggio per dirtelo.»

Strinsi la sua mano minuta che, nonostante la calura di un agosto particolarmente afoso, era stranamente fredda

«Non hai nulla da dirmi?»

Volevo incitarla a provare a sognare e a rivelarmi tutti i suoi sentimenti, anche quelli più nascosti, abbandonando almeno durante quella serata la sua solita innata timidezza che le aveva sempre impedito di rivelare le emozioni che stava provando. Ma il suo comportamento era apparso subito strano, completamento diverso da ciò che mi sarei aspettato. In quel momento avrei voluto urlare che era venuto il tempo di essere finalmente felici, di abbandonarci almeno per qualche attimo ai nostri sogni, dimenticando ogni paura. E invece come sempre decisi di stare dalla sua parte, cercando di essere dolce, comprensivo delle sue incertezze.

«Io vorrei trascorrere con te la mia vita.»

Immaginavo una esistenza diversa, fuori da Torbiano, in compagnia di Angela, entrambi padroni del proprio futuro.

«Andiamo via» prima di trovare il coraggio di confessarle il mio sogno guardai ancora una volta la luna, immensa, così vicina che si poteva quasi sfiorare «fuggiamo in un altro posto, lontano da qui.»

Il corpo di Angela era morbido, rassicurante. Mi provocava sensazioni di piacere, che fino a quel momento non avevo mai conosciuto.

«Io vorrei scoprire il mondo insieme a te.»

Sentivo che quella speranza si trovava dalla parte giusta della vita. Ero convinto di trovare in Angela almeno uno sguardo di complicità o una parola che mi facesse capire che mi era vicino. Ma i miei tentativi non ebbero su di lei alcun effetto.

«Io non potrò mai fuggire insieme a te.»

La sua voce era piena di rassegnazione. Si guardò attorno, cercando forse per la prima volta un poco di conforto nei miei occhi. Con un cenno del capo la incitai a continuare.

«Io penso di avere scoperto un segreto» indicò attorno la distesa d’erba, appena scossa in quel momento da un leggero soffio di vento «è il segreto di questo prato verde, che non cambia mai il suo colore, in nessun momento e in qualsiasi stagione.»

Subito dopo quella rivelazione, riuscii a scorgere nei suoi occhi emozionati, un breve lampo di umanità.

«Ho capito che questo prato è il simbolo della nostra esistenza. Proprio come il prato del diavolo chi vive in questo paese è destinato a non cambiare mai, per nessuna ragione, in qualsiasi stagione della vita.»

Sorrisi nell’ascoltare le sue parole che, in quel momento, mi sembrarono un ingenuo tentativo di fuga.

«Solamente per questa ragione io non riesco a immaginare un futuro insieme a te.»

La sua voce faceva trasparire venature di pianto

«La nostra storia non potrebbe funzionare.»

Il suo rifiuto mi offese.

«Quello che dici non può essere vero. Sono certo che con il tuo aiuto potremo pensare a una casa tutta nostra. Progettare insieme un futuro e immaginare dei figli da crescere.»

Angela quasi urlò, non appena iniziai a parlare di un figlio tutto nostro.

«Sei tu a sbagliare. I tuoi sogni non potranno mai realizzarsi perché loro» lasciò cadere la voce su quell’ultima parola, lanciandomi occhiate confuse, piene di paura e di una tristezza devastante «non ce lo permetterebbero mai.»

In quel momento di totale abbandono Angela lasciò finalmente trasparire un brivido di vita che prima di allora non aveva mai mostrato. Stava soffrendo e nello stesso tempo maledicendo il suo destino di donna innamorata. Si alzò in piedi e, senza neppure concedermi un ultimo sguardo, tornò a percorrere il sentiero che insieme avevamo imboccato per raggiungere il prato del diavolo. La chiamai ripetutamente. Le urlai di fermarsi. Fu tutto inutile. La sua furia non si arrestò e continuò ancora a fuggire da me fino a quando, accompagnata dal rumore dei suoi passi, non scomparve nella notte.

Rimasi solo, nel prato del diavolo, senza riuscire a comprendere le vere ragioni della sua fuga improvvisa ma soprattutto chiedendomi chi fossero loro, i nemici invisibili da cui Angela doveva difendersi. Gli uomini e le donne che non ci avrebbero mai permesso di vivere fino in fondo una vera storia d’amore.

Molti anni ormai mi separano da quella serata incredibile durante la quale, per la prima volta, avevo ascoltato Angela evocare misteriosi personaggi dai contorni indefiniti. Uomini e donne senza un volto e senza un nome. Questi sono stati anni difficili durante i quali ho sempre cercato, senza mai riuscirci, di dimenticare quelle parole misteriose, cariche di significati nascosti. Nel frattempo, il mio destino si è preso la sua rivincita. Dopo una lunga convivenza, Angela ha deciso di abbandonarmi, senza spiegarmene il motivo.

Oggi nella mia mente ci sono solamente pensieri confusi e un’unica certezza. La certezza che da quella notte, durante la quale Angela mi parlò per la prima volta di questi misteriosi personaggi, tutto nella mia vita è cambiato e niente è più stato come prima.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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