La festa

Dal diario di Adriana
Giorno 22

Tra qualche giorno festeggeremo il 75 esimo anniversario della liberazione dal nazifascismo. Non ci saranno cerimonie pubbliche, immagino, e tutto si svolgerà  in tono minore anche se la memoria resta ed è bene coltivarla. Ho avuto modo di visionare negli archivi della Rai alcune immagini davvero significative dei festeggiamenti nelle strade e nelle piazze di un paese ferito dove fino a qualche tempo prima si erano viste ben altre adunate.

La gioia egli occhi

La gioia negli occhi di quegli uomini e di quelle donne è indescrivibile e riusciva persino a far dimenticare l’orrore di quanto accaduto, perché non c’è guerra che non abbia distruzioni e lutti e che in qualche modo non faccia sanguinare vincitori ai vinti. Qualche giorno fa il Commissario nazionale all’emergenza Domenico Arcuri ha ricordato che nella seconda guerra mondiale in Lombardia morirono 2000 civili e che in due mesi il coronavirus nella stessa regione ne ha uccise quasi dodici mila.

La contabilità delle vittime per qualsiasi fatto destinato a entrare nella storia rischia di suonare inopportuna  soprattutto se si fanno i paragoni.  Ma il dato è reale, fa male,  e non possiamo ignorarlo.

Passano sotto i miei occhi – scorrendo quel prezioso materiale di archivio – le immagini dei girotondi e dei canti gioiosi di uomini e donne che, all’indomani della guerra, volevano riprendersi a tutti i costi le loro vite cercando di  superare il dolore del lutto e l’angoscia del futuro.

Che sia festa

E, in parallelo, penso a  quel video che circola da ieri sul web degli infermieri dell’ospedale Niguarda di Milano nel quale c’è tutto il  sollievo per la chiusura di uno dei reparti di terapia intensiva. Su quella trincea hanno combattuto per 57 giorni. “La morte ci è passata vicino – ha raccontato la caposala – e la sera piangevamo ma abbiamo salvato anche tante vite umane.” E poi ancora il balletto simpatico e davvero liberatorio degli infermieri dell’ospedale San Martino di Genova anch’essi stremati dalla fatica.   

Che sia festa, quindi, e che non si smetta mai di festeggiare. Che sia festa anche se  per qualcuno è più difficile trattenere le lacrime. Smettere di farlo  significa perdere per sempre la speranza