For the Cultivation of the Mind. Il racconto di un Grand Tour immaginario

For the Cultivation of the Mind. Il racconto di un Grand Tour immaginario di Elena Frasca
Il Grand Tour come viaggio di formazione.

  • Titolo: For the Cultivation of the Mind. Il racconto di un Grand Tour immaginario.
  • Autore: Elena Frasca
  • Lingua: Italiano
  • Formati: kindle, copertina flessibile
  • Editore: Oakmond Publishing
  • Generi: Saggistica

Nell’Europa di Sette e Ottocento, attraversata da fermenti innovatori e scosse rivoluzionarie, dilaga inarrestabile il fenomeno del Grand Tour, il viaggio di formazione, un’esperienza che prescinde dal mero intento di istruire il giovane rampollo di buona famiglia, ma che piuttosto assume i contorni netti di un percorso individuale dai tratti quasi catartici.

Il mouvement, prerogativa essenzialmente riservata agli uomini, conta tuttavia anche qualche, significativa, presenza femminile.

Paradossalmente, sarà proprio una donna non viaggiatrice ad accompagnarci lungo le numerose tappe di un tour europeo intenso e carico di suggestioni, raccontato in un diario di viaggio che assume i contorni di un romanzo storico tout court, tra avventure e qualche peripezia, ma con sullo sfondo l’Europa di quegli anni cruciali, della quale vengono dettagliati i contorni sociali e storici e, talvolta, anche quelli politici. Un esperimento letterario, questo di Priscilla Wakefield, confortato da chi realmente visse e raccontò luoghi, persone, esperienze di vita.

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For the Cultivation of the Mind.
Il racconto di un Grand Tour immaginario

Premessa

Quando, nel 1802, Priscilla Wakefield pubblica la prima edizione[1] del suo libro intitolato The Juvenile Travellers; Containing the Remarks of a Family During a Tour Through the Principal States and Kingdoms of Europe, with an Account of their Inhabitants, Natural Productions, and Curiosities[2], l’Inghilterra sottoscrive ad Amiens lo scioglimento della seconda coalizione, che porta a una tregua con la Francia di Napoleone, primo console ancora per poco.

In un’Europa scossa dai fragori rivoluzionari, e che si prepara a rivedere fragili equilibri e a sperimentare forme politiche innovate, imperversa ancora il Grand Tour, il viaggio di formazione, un’esperienza al contempo iniziatica e dai tratti purificatori. Il giro europeo rappresenta, in piena epoca moderna, l’appendice urgente e imprescindibile del percorso formativo di tanti membri delle classi sociali più elevate, pronti ad affacciarsi nella buona società e nel complesso e variegato mondo delle istituzioni.

Il viaggio, secondo l’aforisma baconiano[3], costituisce il coronamento del ciclo educativo per i giovani, e il compimento della parabola esperienziale per gli adulti, un cammino costellato di incontri e di contemplazioni di luoghi diversi, un humus fertile per rinforzare doti di analisi e di intraprendenza, un’opportunità di testare sul campo quanto studiato sui libri, di ampliare la conoscenza di lingue straniere, di leggi, di usanze differenti, di forme trasversali di economia e di governo.

«Il fenomeno del Grand Tour[4], è stato, ed è ancora, una sorta di grande prisma nel quale si rifrangono numerose particelle di immagini attraverso le quali è possibile vedere il riflesso di una società del passato che entra in contatto con molteplici altre realtà territoriali. Tutto questo ha dato il via a un naturale processo di dialogo tra culture differenti che, benché presumibilmente all’epoca non se ne avesse piena coscienza, certamente oggi può essere ascritto tra le righe dell’albero genealogico di quello che si usa chiamare fenomeno interculturale»[5].

Il viaggiatore tipo, in realtà, presenta tratti e sfumature estremamente variegati. Caustico il ritratto che ne fa Laurence Sterne[6]: «scioperati, curiosi, bugiardi, felloni, ipocondriaci, sciagurati, orgogliosi, innocenti, sentimentali», tutti spesso improvvisati scrittori e avventurieri a cui si deve la cospicua massa di osservazioni, relazioni, diari e guide costituenti la cosiddetta letteratura di viaggio che raggiunge il culmine nel Settecento.

L’Europa, dunque, particolarmente nei secoli XVIII e XIX, vede il flusso costante e consistente di viaggiatori, solitari o in comitiva, desiderosi di spostarsi e di conoscere, di esplorare orizzonti diversi e di ampliare le proprie conoscenze. Tante le mete stabilite nel corso del tour; l’Italia rimane certamente il suggello prediletto e ideale del viaggio formativo, e questa onda umana in movimento conta anche la presenza di alcune donne.

In realtà, a fronte del numero elevato di viaggiatori uomini, le viaggiatrici rappresentano fuori di dubbio una minoranza.

Eppure, sarà proprio una donna non viaggiatrice ad accompagnarci lungo le numerose tappe di un tour europeo denso e stimolante, ricco di avvenimenti e di incontri, raccontato in un diario di viaggio insolito, un libro che sembra ascriversi entro l’alveo del romanzo storico tout court, nella sua fase acerba, con il racconto delle vicende di una normale famiglia inglese della buona società che conduce l’usuale giro europeo, tra avventure e qualche peripezia, ma con sullo sfondo l’Europa di quegli anni significativi, della quale vengono dettagliati i contorni sociali e storici e, talvolta, anche quelli politici. Un esperimento letterario, questo di Priscilla Wakefield, confortato da chi realmente visse e raccontò luoghi, persone, esperienze di vita.

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Donne e Grand Tour

L’accostamento donna-viaggio è stato a lungo ritenuto un fenomeno dai tratti eterogenei e per certi versi complicati, per le tante variabili di tipo socio-culturale che esso recava con sé. La donna non rientrava – ancora negli anni della modernità – all’interno di quelle categorie sociali alle quali era consentito il lusso del viaggio[7], soprattutto se non scortata da un uomo che si prendesse cura di lei e si premurasse di salvaguardare la sua moralità. Il medico svizzero Theodor Zwinger, nella sua opera dal titolo Methodus Apodemica, edita nel 1577, così scriveva a proposito delle categorie sociali alle quali era proibito il viaggio: «Infanti. Persone anziane. Pazzi. Donne»[8]. Ancora alla fine di quel secolo, Georgius Loysius, nel suo Pervigilium Mercurii, scrive che «la Natura stessa vuole che le donne stiano a casa. È vero che nessuna donna, a meno che non sia disperatemente povera o di facili costumi, desidera viaggiare»[9].

Tuttavia, eccezioni significative ed emblematiche si contano anche prima del secolo illuminato, quando qualcosa sembra muoversi per le donne – benché sempre con notevoli restrizioni – anche in relazione alla possibilità di viaggiare. È il caso, per esempio, di Katherine Evans e di Sarah Cheevers, in viaggio già a metà Seicento per alimentare il verbo quacchero[10]. Proprio l’Inghilterra – come vedremo in seguito – conterà tante altre donne pioniere della moda del viaggio.

Sarà nel Settecento e, ancora di più, nel successivo secolo borghese, che il viaggio al femminile cominciò a divenire una pratica tollerata e per certi versi accettata, una specie di consuetudine che ben prestò si tramutò in un fenomeno di costume[11].

Certo, i detrattori continuarono a essere numerosi. Ippolito Pindemonte, a fine secolo, definisce, con tono sarcastico misto a una specie di sgomento, «sempre varia errante vita»[12] l’usanza del viaggio, che assume contorni ancora più inquietanti se declinati al femminile[13].

L’immagine della donna angelo del focolare – confinata entro le mura domestiche per dedicarsi ai suoi doveri di figlia e poi di moglie e di madre – fu difficile da scalfire, è bene ricordarlo. Tuttavia, a piccoli passi, l’usanza del viaggio al femminile prese sempre più piede, sebbene con precisi accorgimenti. Le viaggiatrici, infatti, dovevano preferibilmente essere sempre accompagnate da uno chaperon, maschio, e spostarsi dalla loro dimora abituale per motivi sensati, come, per esempio, la cura di particolari malanni. Il clima mite che caratterizzava soprattutto le regioni meridionali dell’Europa era una giustificazione saggia e plausibile per legittimare il viaggio di una donna.

Il tour intrapreso per motivi di salute si accosta ad altre tipologie di mouvement, anche femminile, che può essere riconducibile a motivazioni lavorative – specie delle compagnie teatrali itineranti che, finalmente, comprendono anche le attrici – o a più complesse dinamiche di tipo politico.

Poco adatti all’universo femminile appaiono, di contro, le motivazioni di tipo culturale e scientifico, che male si addicono alle donne, la cui eventuale produzione letteraria può concernere, tutt’al più, la sfera emotiva e sentimentale.

Già a partire dal Settecento, infatti, si cementa con più forza la pratica dei viaggi di esplorazione di tipo scientifico[14], che sembra connotare fortemente soprattutto l’universo maschile. Ci si sposta non soltanto per contemplare le vestigia classiche e per ammirare le bellezze artistiche e architettoniche, ma anche per osservare fenomeni naturalistici, esplorare i campi emergenti della botanica, della vulcanologia, della geologia, raccogliere dati e reperti da conservare presso collezioni private. Si tratta, però, di tipologie di indagine primariamente – almeno agli inizi – riservata agli uomini, ai quali è chiesto altresì di raccogliere dati e impressioni in resoconti di viaggio.


[1] La fatica letteraria della Wakefield – edita a Londra per i tipi di Darton and Harvey – vide la ristampa di ben 19 edizioni.

[2] In questo lavoro è stata utilizzata la prima edizione del libro.

[3] F. Bacon, Of travel, in Essays or counsels civil & moral, London, Collins’ clear-type press, 1900.

[4] La bibliografia sul Grand Tour è particolarmente vasta. Tra i numerosi testi di riferimento cfr.: G.P. Brizzi, La pratica del viaggio d’istruzione in Italia nel Sei-Settecento, «Annali dell’Istituto Storico italo-germanico in Trento», II (1976), pp. 203-291; V.I. Comparato, Viaggiatori inglesi in Italia tra Sei e Settecento: la formazione di un modello interpretativo, in «Quaderni storici», vol. 14, 42, III (1979) pp. 850-866; S. Pasotti, Grand Tour, Milano, Mondadori Electa, 1982; M.E. D’Agostini, La letteratura di viaggio. Storie e prospettive di un genere letterario, Milano, Guerini, 1987; M.G. Torri, Grand Tour: Italian Geo-Romantic, Milano, Fabbri, 1988; D. Astengo, In carrozza verso l’Italia. Appunti su viaggi e viaggiatori fra Sette e Ottocento,Savona, Comitato colombiano savonese, 1992; C. Knigh, Sulle orme del Grand Tour: uomini, luoghi, società del regno di Napoli,Napoli, Electa, 1995; A. Brilli, Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del Grand Tour, Bologna, il Mulino, 1995; A. Wilton, I. Bignamini (a cura di), Grand Tour: il fascino dell’Italia nel 18° secolo,Milano, Skira, 1997; C. Chard, Pleasure and guilt on the Grand Tour: travel writing and imaginative geography 1600-1830,Manchester, Manchester university press, 1999; C. Hornsby, The impact of  Italy: the Grand Tour and beyond,London, The British School at Rome, 2000; C. De Seta, Grand Tour: viaggi narrati e dipinti, Napoli, Electa, 2001; Id., L’Italia nello specchio del Grand Tour, Milano, Rizzoli, 2014.

[5] E. Frasca, Il Grand Tour. Un laboratorio di intercultura, in G.J. Kaczynski (a cura di), Il paesaggio multiculturale. Immigrazione, contatto culturale e società locale, Milano, FrancoAngeli, 2008, pp. 179-180.

[6] L. Sterne, The Works of Laurence Sterne,London,Henry G. Bohn, 1851.

[7] B. Dolan, Ladies of the Grand Tour, London, Flamingo, 2002.

[8] T. Zwinger, Methodus apodemica, qua omnia continentur quœ cuivis in quolibet vitœ genere peregrinanti, et imprimis homini studioso scitu cognituque necessaria, Basilea, Eusebium Episcopium, 1577.

[9] Citato in C. Howard, English Travellers of the Renaissance, London, John Lane, 1914, p. 28.

[10] S. Arcara, Messaggere di luce. Storia delle quacchere Katherine Evans e Sarah Cheevers prigioniere dell’Inquisizione, Trapani, Il pozzo di Giacobbe, 2007.

[11] Sulla tematica e, in particolare, sul Grand Tour italiano di sedici donne europee tra la fine del Settecento e l’Ottocento romantico, si veda il recente volume di A. Brilli, Le viaggiatrici del Grand Tour. Storie, amori, avventure, Bologna, il Mulino, 2020.

[12] Cfr. R. Ricorda, Al bel sesso ancora piace la sempre varia errante vita. Viaggiatrici italiane in Italia tra Sette e Ottocento, in I. Crotti (cura di), Il viaggio in Italia. Modelli, stili, lingue, Napoli, Esi, 1999, p. 105.

[13] I. Pindemonte, I viaggi, Venezia, presso Carlo Palese, 1793.

[14]  Cfr. J. Ray, Travels through the low countries, Germany, Italy, London, J. Walthoe, 1738; P. Skippon, An account of a Journey,London, J. Walthoe, 1732.

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