Alla fine della giostra

Alla fine della giostra di Vincenzo Galati

Un giallo ironico e arguto con un poliziotto decaduto al quale non resta che diventare investigatore privato. Con licenza, però!

Irriverente, arguto, sarcastico, allergico ai potenti e con una certa abilità a ficcarsi nei guai, Ghigo Dodero è un piedipiatti che, dopo un incidente di percorso, viene cacciato dalla polizia con un calcio nel sedere e una licenza da investigatore privato.

Le prospettive di carriera per lui sembrano cupe ma quando viene rinvenuto il cadavere di una ballerina di nightclub, una sua vecchia conoscenza, per lui le cose cambiano.

Sul diario segreto della ballerina, vengono trovati scandalosi indizi che conducono a un rispettabilissimo politico cittadino e, per evitare che certi affari possano diventare pubblici, l’incarico di trovare l’assassino, viene affidato proprio a Dodero. Se riuscirà a salvare lo stimato personaggio dall’imbarazzo sociale, la ricompensa sarà il reintegro in polizia.

Un incarico delicato, un caso con scarsi indizi, pochissimo tempo e il rischio di lasciarci la pelle, ma ci sono destini peggiori della morte per un ex poliziotto squattrinato.

Riuscirà Dodero a sopravvivere alle tortuose strade del crimine e a certi loschi e spietati personaggi, abbastanza a lungo per catturare l’assassino, o fallirà magistralmente come solo lui sa fare?

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Alla fine della giostra:

Introduzione che non è un prologo

Mi chiamo Ghigo Dodero e non sono un tipo da cerimonie.

Questo libro parla di me, ma non è un romanzo autocelebrativo; vi narrerò alcune vicende che mi sono capitate, senza compiacimento né vittimismo.

Io non sono il tipo di investigatore che con il colpo di genio arriva a risolvere intricati casi, quello che con un’occhiata capisce quanti figli hai, quando hai fatto il morbillo, a che piano stai di casa, come si chiama il tuo gatto, quanto è alta tua moglie e che marca di sigarette fumi.

Non sono neppure il tipo di investigatore supereroe, né quello onnisciente e nemmeno il bello e dannato sciupafemmine, nemmanco quello alcolizzato; certo, quando l’autore mi fa bere, non mi tiro indietro, ma questa è un’altra storia.

Non sono neanche il tipo di investigatore da riflessioni introspettive, ai processi mentali preferisco l’azione, a me piace andare al dunque.

Ma allora, che tipo sono? Sicuramente un tipo che ha un talento naturale per cacciarsi nei casini.

Ora però basta con i preliminari, che altrimenti mi salta fuori un prologo e a me i prologhi non piacciono, ma soprattutto perché i preliminari sono belli ma quello che viene dopo è ancora meglio.

Ghigo Dodero

1

Con passo stanco, uscii da una porta secondaria di uno dei padiglioni dell’Ospedale San Martino. Fuori, il cielo di mezzanotte era stupendo, ma non indugiai ad ammirarlo. Vedevo soltanto i gradini di cemento che portavano sul viale principale. Dietro di me, in una stanza all’ultimo piano, avevo lasciato un vicepresidente di banca che stava per morire. Aveva mantenuto il suo segreto, nonostante le mie quarantatré ore di indagini ininterrotte. Di fronte a me, c’erano i viali dell’ospedale, la mia Citroen due cavalli gialla e, speravo, una bella tirata di sonno.

Con gli occhi più chiusi che aperti, lasciai che la forza di gravità mi spingesse giù per la breve gradinata. Ma una brusca esplosione, simile a un colpo di pistola di piccolo calibro, partì da uno dei bui vialetti secondari, proprio mentre il mio piede destro toccava l’ultimo gradino. Automaticamente, lo saltai e mi nascosi dietro a una colonna di marmo.

Nella mia mano, era già apparsa la pistola d’ordinanza.

«Ehi!» Dissi, troppo stanco per pensare a qualcosa di più originale. «Polizia. Butta a terra la pistola e vieni avanti lentamente.»

L’uomo, chiunque fosse, non aprì bocca e non si mosse, ma io riuscivo a intravvedere la sua sagoma profilata contro il muro. Poi, la fioca luce dei vialetti illuminò qualcosa di metallico tra le sue mani.

Premetti il grilletto, una volta sola, e un vecchio guardiano notturno con una piccola torcia spenta in mano piombò sull’asfalto, sanguinando.

2

«Non potrebbe andare peggio, Ghigo.»

Il commissario Tony Raffo, mio diretto superiore, un uomo mastodontico ridimensionato da circa quarant’anni di metodico lavoro, mi guardò attraverso la scrivania. La sua grossa testa dai capelli radi, simile a un pallone da basket, era appoggiata allo schienale di una massiccia poltrona di pelle.

«Lo so» ammisi. Sebbene fosse mattino inoltrato e mi sentissi uno straccio, non ero ancora andato a letto. «Lo so.»

Ero seduto di fronte a Raffo, su una traballante sedia di legno e mi sforzavo di non crollare.

«È un guaio» continuò lui stancamente, «che ti sia capitato di sparare a un pover’uomo indifeso, che lavorava di notte per mandare il figlio all’università. Un vecchio che non aveva fatto niente di male e che non aveva per nulla bisogno del secondo ombelico che tu gli hai aperto nella pancia.»

Aprii la bocca, ma non riuscii neppure a tirar fuori un altro lo so.

«È un bel guaio» ripeté Raffo. «Sai chi era quel vecchio, immagino.»

«Chi è» replicai. «Non chi era. È sempre vivo, e non l’ho nemmeno ferito gravemente. Forse, a quest’ora, sta molto meglio di me.»

«D’accordo, chi è» disse Tony. «Ripeto: immagino che tu sappia chi è quel povero vecchio.»

«Sì», sospirai. «Lo so. I colleghi sembrava facessero a gara per ricordarmelo. Me l’ha detto Fossati, me l’ha detto Brenna, me l’ha detto Rampini. Me l’ha detto perfino quello con la faccia da maniaco all’ingresso, quando sono arrivato qui, stamattina. È lo zio del sindaco.»

«No, vedi che sbagli, è il cugino. L’amatissimo cugino di Umberto Maria Ricci.»

«Zio o cugino, cambia poco.»

«E dimmi, cosa hai detto quando hai saputo chi era?»

«Detto nulla, però ho pensato: fischia, ora sì che sono nella merda!»

«Vedo che cominci a capire. E sai chi ha aiutato quel brav’uomo a trovare quel meraviglioso posto di lavoro?»

«Umberto Maria Ricci?» Risposi, tirando a indovinare.

«Esatto» confermò Raffo. «Proprio lo stesso gentiluomo che questa mattina mi ha già telefonato non meno di quattro volte, insistendo per avere la tua testa su un piatto d’argento.»

Raffo prese una cartella dall’angolo della scrivania.

Capii che era un fascicolo tolto dallo schedario del personale della polizia e non faticai molto a indovinare di chi fosse. Devo proprio avere il dono della chiaroveggenza. Specialmente dopo aver passato più di cinquanta ore senza dormire.

«Trattamento completo, eh?» Dissi.

«Più completo di quanto pensi, caro Ghigo. Suo Onore ti vuole appioppare tutto il carico: tentato omicidio, aggressione a mano armata, ferimento doloso, ubriachezza in servizio. Probabilmente, ti accuseranno perfino di aver avuto in tasca un fazzoletto sporco.»

«Tutto qui?»

«Forse no. In questo momento lui e Bruno, il suo potente fratello, nonché nostro ex collega ora vice questore, sono insieme per escogitare il sistema di crocifiggerti con chiodi spuntati e arrugginiti.»

«Ma che cos’hanno contro di me?» Domandai. «D’accordo. Mi sono scontrato spesso col fratello quando lo si poteva ancora considerare un essere umano. Ma Umberto Ricci lo conosco appena.»

«Perché ce l’avevi con il loro cugino?»

«Capisco cosa vuoi dire. Ma dove vuoi arrivare? Vedo che hai lì la mia cartella personale. Non stai per darmi una promozione, vero?»

«Non proprio, Ghigo.» Tony scrollò il capo. «Ho l’impressione che tu non afferri la gravità della situazione. I fratelli Ricci credono che in questo momento tu sia giù nelle celle con gli ubriaconi dell’ultima retata. Se sapessero che sei seduto qui e che ti stai beffando del loro parente sforacchiato, non saresti il solo a essere silurato. E io, l’anno prossimo, esigo la mia pensione. Me la sono sudata.»

«Silurato? Hai detto silurato?»

«Silurato» ripeté lui, mentre apriva il fascicolo. «Decisamente si-lu-ra-to.» Sfogliò le pagine sciolte, poi mi guardò. «Sai, Ghigo, non sei esattamente un poliziotto modello.»

«E le mie citazioni al merito?» Ribattei.

Lui ignorò la domanda. «Ormai, sei nella polizia da quindici anni, vero, Ghigo?»

«Hai la data sotto il naso» risposi. «Saranno quindici anni il tredici ottobre… giorno del mio compleanno.»

Raffo sorvolò su quel particolare. «Questa faccenda della signora Spinola è stata proprio un colpo magistrale» dichiarò, tirando fuori alcuni fogli.

«La signora Spinola» esclamai «è una maligna, meschina, isterica, presuntuosa ubriacona.»

«Hai ragione. Ma è anche la moglie di Manfredi Spinola, giudice della Corte di Cassazione e uomo deplorevolmente potente in questa città.»

«Lì fu l’errore» ammisi.

«Proprio lì» convenne lui. «Uno sbaglio che avrebbe fatto schiaffare d’ufficio chiunque altro nel più sperduto paesino della Barbagia.» Mi scrutò con aria compassionevole. «Ghigo, lo sai perché ti promossero dopo soli tre anni che facevi parte del Corpo?»

«Per le mie citazioni al merito» risposi, fiero.

Tony m’interruppe con un gesto della mano grossa come un guanto da forno.

«Ghigo, hai fatto cose molto buone. Cose meravigliose. Ma il problema principale, è che tu non hai affatto l’aspetto del poliziotto.»

Raffo mi scrutò per vedere come prendevo quel supremo insulto. Quando capì che non sarei crollato, continuò: «Se sapessi quante telefonate abbiamo ricevuto dai cittadini che si lamentavano di qualcuno che fingeva d’essere un poliziotto. E di solito, si scopriva che quel qualcuno eri tu.»

«D’accordo» dissi: «Non sono il poliziotto ideale. Non ho mai preteso di posare per il calendario della polizia. Ho tirato avanti benissimo per quindici anni. Le mie citazioni…»

«Le tue citazioni» mi interruppe Raffo, raccogliendo una mezza dozzina, di fogli del mio fascicolo. «Adesso prendo le tue preziose citazioni e le sbatto in faccia a Ricci e a suo fratello, pregando che non si mettano a ridere. Ma prima devi firmare questo.» Con l’indice spinse un foglio sulla scrivania, verso di me.

«Firmare che cosa?» Domandai, chinandomi per agguantarlo prima che cadesse. Attraverso un nebbioso velo di stanchezza, lessi ad alta voce: «Io, Ghigo Dodero, con la presente rassegno le mie dimissioni da…» Guardai Raffo, che guardava me. «Dimissioni? Tony…»

«Firma, Ghigo» replicò lui, quasi implorante. «Usa il cervello. È l’unico modo per salvarti il culo e forse per salvare anche il mio. Ricci non vuole le tue dimissioni. Vuole la tua pelle. Tutta. La tua unica via d’uscita è firmare quel pezzo di carta e sparire in silenzio.»

«Sparire? E poi? Capo, faccio il poliziotto da quando ho finito la scuola, da quando avevo vent’anni. Non sarò un granché, come poliziotto, ma è tutto quello che so fare.»

Dicevo sul serio. Perfino visto dai miei occhi amorosi, Ghigo Dodero non è un uomo brillante e versatile.

«Buttati su un altro mestiere» mi consigliò Raffo. «Trentacinque anni non sono troppi. Hai frequentato l’università, giusto?»

«Per due anni e mezzo» risposi. «Dieci anni fa. Corso serale per studenti lavoratori. Tony, non sono un uomo colto. Morirò di fame. Ci penserà Ricci a farmi morire di fame.»

Raffo bofonchiò, si chinò sulla scrivania e prese una penna nera da un astuccio piatto. Me la porse come se fosse stata una pillola di cianuro. «Ghigo» mi confidò in tono pacato «a me personalmente non hai mai dato fastidio, e non sei un cattivo ragazzo. Quindi ti offrirò una grande occasione.»

«E cioè?» Domandai. «Un sontuoso funerale quando il mio logoro cadavere verrà trovato in qualche scantinato? Grazie tante.»

Tony mi guardò mestamente. O, forse, solo stancamente. «Ghigo» disse. «Mi dispiace proprio. Davvero. È tanto che ci conosciamo, noi due. Sto cercando di aiutarti.»

Gli credevo. Non avrei voluto, ma gli credevo. Era tanto che ci conoscevamo. Più di dieci anni prima, ero stato a un pelo dal diventare suo genero, ma poi sua figlia Margherita si era fatta furba e aveva sposato un ingegnere petrolchimico. Raffo mi aveva tirato fuori da più rogne di quanto non gradissi ricordare. Il suo appoggio mi aveva salvato al tempo dell’incidente Spinola. Forse, stava cercando di aiutarmi ancora. Ero troppo stanco per capirlo.

«D’accordo, Tony» asserii. «Hai ragione. Sono un ingrato. Quale sarebbe la grande occasione?»

«Ghigo, se firmi quelle dimissioni e lasci Genova oggi stesso per almeno sei mesi, io ti procurerò una licenza da investigatore privato quando tornerai. Così potrai guadagnarti da vivere. C’è sempre lavoro per un investigatore privato.»

«Un investigatore privato?» ghignai. «Io li odio, quei bastardi. Se non sono bellimbusti, sono spie. O tutt’e due le cose. E i migliori sono farabutti. Io provo più rispetto per i poliziotti politicizzati e raccomandati come il fratello di Ricci, che non per un lurido investigatore privato.»

«Ghigo, mi fa male dirtelo, ma hai proprio l’aspetto di un investigatore privato. Nato e sputato. Mi sorprende che tu non ci abbia pensato prima.»

«Grazie.»

«Firmi?»

«Qual è l’alternativa?»

«Di sicuro un processo disciplinare» rispose Raffo «Come minimo una degradazione ad agente semplice, ma più probabilmente l’espulsione. Poi un processo penale, una causa civile, una taglia sulla tua testa e una spinta fuori dalla città. Infine, c’è il lato buio del quadro. Se resti da queste parti…»

«Risparmiami il lato buio» dichiarai.

«Ghigo, lo capisci o no che il tuo destino è appeso a un filo?»

«Sì, della corrente, e per giunta scoperto» risposi avvilito.

Presi la penna che Raffo aveva continuato a puntare verso di me. Se non altro sono uno che capisce quando è sconfitto. Ma prima di firmare, domandai: «Investigatore privato, è sicuro?»

«È sicuro» dichiarò lui. «Firma.»

«Devo lasciare la città per sei mesi… Oggi stesso?»

«Oggi» disse Raffo. «Che ora fa il tuo orologio?»

«Quasi le undici» risposi, guardando il cristallo frantumato del mio finto Rolex.

«Firma quell’affare ed esci da qui entro quindici minuti» ringhiò Tony. «Non preoccuparti di svuotare il tuo armadietto. Ci penserò io a mettere da parte la tua roba. E bada di essere fuori dalla città entro le due. Dopo di che, non garantisco più nulla.»

«E cosa ne dici del mio sonno?» Domandai. «Sono in piedi da secoli. Al volante di una macchina sarò una minaccia per l’incolumità dei cittadini.»

«Hai tutto il tempo per recuperare il sonno perduto e comunque, dormirai meglio fuori città, credimi.»

«Il mio appartamento?» Domandai. Avevo un appartamento delizioso, forse è meglio dire dignitoso… vabbè, passabile.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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