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Archimede deve morire di Annalisa Stancanelli –

Archimede è in pericolo di vita. Riuscirà il suo proverbiale ingegno a salvarlo?

Egitto 214 a.C.

Un gruppo ristretto di scienziati della Biblioteca d’Alessandria nasconde un grande segreto: l’esistenza dell’oscura Camera di Thot.

Poco prima d’essere misteriosamente ucciso, il Sacro Custode comprende che la Camera è in pericolo e invia lo scienziato Timeo a chiedere l’aiuto dell’amico Archimede. Timeo però giunge proprio quando Siracusa è assediata dai romani e, durante il saccheggio, l’uomo viene confuso con Archimede e assassinato al suo posto. L’assassino ruba il planetario del matematico siracusano che contiene la mappa della Camera di Thot nascosta al suo interno e così Archimede non può che partire alla ricerca del suo planetario e della mappa.

La ricerca lo condurrà in un viaggio difficile e pericoloso portandolo fino ad Alessandria d’Egitto e poi Giza davanti alla Sfinge e da lì all’Oasi di Siwa dove dovrà confrontarsi con il famoso Oracolo cui si rivolse anche Alessandro Magno e dove sarà costretto a sfidare la morte.

Riuscirà a sconfiggerla solo con la forza del suo ingegno?

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Archimede deve morire:

Antefatto

Piana di Giza 213 a.C.

Il Guardiano della Camera di Thot era pronto; la macchina era stata provata e ricaricata. Timeo terminò di bendare le mani ferite e contemplò con tristezza i due schiavi che aveva dovuto sacrificare e che giacevano morti ai suoi piedi, orribilmente feriti.

Il Guardiano era un congegno mortale, ma così doveva essere. 

Timeo a passi lenti uscì dall’ingresso sotterraneo. La pesante porta di pietra si chiuse dietro di lui mentre la Sfinge sembrava sorvegliare dall’alto le mosse dell’uomo e vigilava sulle piramidi.  Dal nulla spuntarono degli schiavi che portarono via i loro sfortunati compagni e li caricarono su un carro, in silenzio, mentre il sole si nascondeva dietro la faccia della Sfinge che sfoggiava un ghigno crudele. Sotto i piedi di Timeo si formò una strada di sangue e striature rossastre colorarono il sentiero che dalla spianata delle Piramidi portava all’ingresso della camera segreta nascosta sotto le sabbie roventi di Giza.

Subito si alzò un vento improvviso che mescolò i granelli dorati con quelli rossi. Poi li sollevò come se fossero una nuvola di sangue.

Il sole tramontava in quel momento anche ad Alessandria.

Nel carcere, che tutti chiamavano La Tomba perché nessun prigioniero ne era mai uscito vivo, la luce rossastra del sole morente entrava da una stretta feritoia e si proiettava sul polveroso suolo dove un  prigioniero giaceva. Il torace si abbassava lentamente e sembrava quasi fermarsi.

Lo sfortunato era rinchiuso nella stanza delle torture, ferito e sporco.  L’odore di muffa e di escrementi umani e animali rendeva l’aria irrespirabile. Una maschera di Seth pendeva insanguinata da un ferro nella parete. Un’altra maschera, con un ghigno terrificante, sembrava sorvegliare il misero che appena apriva gli occhi e vedeva quella smorfia crudele, li chiudeva terrorizzato.

Il prigioniero aveva lo sguardo allucinato di chi aveva visto da vivo il regno di Anubi. Aveva l’espressione di un uomo che aveva visitato il luogo dei morti riservato ai malvagi ma che per qualche motivo era stato rimandato indietro. Non riusciva a proferire parola, nemmeno a lamentarsi. Guardava terrorizzato una serie di ampolle piene di veleno disposte su un ripiano di legno.

Per terra giaceva un contenitore di foglie di palma intrecciate chiuso da corde fittamente annodate. Sembrava vivo tanto si muoveva: decine di aspidi vi si contorcevano dentro. Lui li aveva visti; ogni tanto il coperchio sembrava aprirsi sotto la spinta di quelle viscide creature, piccole e letali, ma era il  rettile verde a spaventarlo a morte. Anche di notte sentiva su di sé i suoi occhi, due fessure dietro le quali s’intravedeva la morte.

Meravigliosa Siracusa

Siracusa 213 a.C.

Le acque cristalline del Porto Grande brillano al sole di Siracusa, la bella città di Artemide amata da dei e sapienti.

Lo scudo d’oro del Tempio di Athena da lontano sembra un miraggio per i naviganti che si beano dei riflessi cangianti del prezioso dono fatto alla dea protettrice della città.

Nei pressi delle banchine del porto, marinai mezzi nudi con i muscoli levigati luccicanti nel sole scaricano merci da innumerevoli navi, provenienti da tutti i paesi del Mediterraneo. I mercanti ricontrollano i carichi in partenza e vigilano su quelli in arrivo, meretrici e donne di malaffare avvicinano coloro che sbarcano dalle imbarcazioni più lussuose.

Da una snella imbarcazione scende tremolante un vecchio vestito di bianco, con le mani bendate e un gigantesco copricapo. La barba bianca gli scende morbida sul petto.

Un giovane, di carnagione olivastra, con i capelli neri, asciutto come un’acciuga, e un gigantesco schiavo nero, altissimo, con la testa rasata che luccica al sole, gli si avvicinano.

«Il mio Maestro ti saluta, saggio Timeo, e ti attende nella sua umile dimora. Non è venuto di persona perché stava terminando un complicato calcolo. Il mio nome è Daniele, lui è Megarèo.            La dimora del Maestro non è lontana» disse inchinandosi il giovane bruno.

Timeo guarda verso l’alto, lo schiavo nero è così imponente che gli oscura il Sole, peccato, aveva tanta voglia di rivedere l’amico Archimede.

Davanti agli occhi gli scorrono le immagini delle giornate lunghe e ricche di soddisfazioni trascorse a studiare le reazioni degli elementi, le proprietà delle piante e degli umori degli animali, i pericoli dei veleni. E poi le serate che si chiudevano gustando la selvaggina del deserto e bevendo della buona birra attorno a un tavolo discutendo di meccanica e astronomia, di numerologia e composti magici. Non era semplice allontanare l’amico siracusano da Conone, Ctesibio e Dositeo con i quali trascorreva tutte le mattine ma Archimede era curioso di natura, tutto l’Universo lo affascinava e in Timeo trovava un geniale inventore, un appassionato di medicina e farmacologia.

Quanti ricordi!

Timeo sente il peso degli anni e la fatica degli ultimi mesi, le preoccupazioni e i rimproveri di Teofrasto, poi quelle morti insensate e infine quel viaggio terribile per mare e la calura opprimente. La stanchezza lo coglie d’improvviso e Daniele lo vede pian piano afflosciarsi come un fiore senza nutrimento. Con somma delicatezza Megarèo lo sostiene e lo prende in braccio come fosse un bambino ammirando il medaglione di lapislazzulo blu che gli pende dal collo. A Daniele, che rimane per un attimo distratto dalle mani bendate del vecchio, resta il compito di portare il bagaglio dell’anziano sapiente da cui fuoriescono alcuni rotoli di papiro.

La grande biblioteca

Alessandria d’Egitto, qualche mese prima

«Gli ultimi trattati di Archimede sono pronti» disse l’uomo in piedi davanti a un immenso tavolo pieno di papiri srotolati.

Era alto e snello, i capelli neri lucidi, gli occhi scuri intensi, portava una tunica candida e sandali in cuoio. Al centro del petto un medaglione con l’effige del dio Thot.

Dalla penombra che avvolgeva un angolo della sala giunse una voce flebile.

«Sai cosa fare, Stratos, e che sia celere il tuo viaggio».

Teofrasto distolse lo sguardo dal papiro che stava leggendo e si rivolse al suo attendente.

«Il compito che ti attende è pericoloso, lo so, ma importantissimo per la nostra causa. Stratos, hai tutta la mia stima.»

Bastò un cenno della mano per congedare l’uomo, poi Teofrasto tornò a leggere un documento che catturava tutta la sua attenzione.

Stratos drizzò il busto e indietreggiò lentamente per poi chinarsi nuovamente davanti all’uscio per l’ultimo ossequio al vecchio sapiente. Minuto, con i capelli candidi come la neve che teneva molto corti, Teofrasto, sembrava un innocuo vecchietto.

L’uomo era ormai quasi completamente curvo ma il suo sguardo parlava per lui. Fermo, brillante, capace di inchiodare l’interlocutore. Teofrasto rivestiva l’incarico di Supremo Guardiano della Camera di Thot, l’erede di una schiera di saggi venerati in tutto il mondo conosciuto, coltissimi nella matematica, nelle scienze e nell’astronomia, difensori del tesoro più grande della Biblioteca. In un luogo segreto dedicato al dio Thot erano conservati tutti gli originali dei manoscritti del celebre Bruchium, la parte più antica della Biblioteca, e dei documenti che, in seguito a una legge di Tolomeo, i comandanti delle navi che approdavano ad Alessandria dovevano lasciare in cambio delle copie, il famoso Fondo delle Navi.

Il silenzio della sala fu interrotto dalle parole di un altro vegliardo che si alzò dal grande tavolo sommerso da rotoli di papiro e si avvicinò a Teofrasto. Anche lui abbigliato con una tunica, i capelli lunghi e candidi che si appoggiavano sulle spalle e una barba bianca come il latte delle asine che le bellissime donne della corte usavano per mantenere la pelle perfetta, Dositeo si mosse facendo ondeggiare la sua collana, che aveva al centro il simbolo del dio Thot scolpito su un grande lapislazzulo blu.

Si rivolse al Guardiano al quale lo legava una lunga amicizia.

«Quando troverai un po’ di tempo per me? Dobbiamo ancora rispondere ai quesiti di Archimede sul teorema di Aristarco, che, come ricorderai, sostiene che il sole e le stelle fisse sono immobili mentre la terra ruota attorno al sole percorrendo una circonferenza. Sono passati molti anni ma la teoria che il siracusano discute è talmente rivoluzionaria che merita le nostre considerazioni.  Il suo ultimo messaggio è arrivato mesi fa, rimandiamo da tempo la risposta; l’argomento è interessante, persino Eratostene è rimasto interdetto dagli studi astronomici dell’amico di Siracusa che attende le nostre argomentazioni sull’eliocentrismo».

Nell’esortare Teofrasto a riprendere il dialogo epistolare con Archimede, interrotto ultimamente a causa della sorveglianza sempre più stretta sulle attività della Biblioteca, Dositeo fu preso dai ricordi che lo legavano al famoso matematico. Non avrebbe mai dimenticato i giorni trascorsi insieme quando erano studenti di Conone.

«Archimede merita la nostra attenzione. Tutte le volte che gli abbiamo chiesto  aiuto e consigli si è sempre mostrato disponibile.»

«Conosco bene il valore dell’amico siracusano ma ben altre questioni mi preoccupano».

Teofrasto chiuse con aria stanca il papiro che stava consultando, si alzò e iniziò a passeggiare nervosamente per la sala accarezzandosi il medaglione d’oro che portava sul petto. Il dio Thot con uno stilo in mano era al centro del gioiello.

«Eratostene sovrintende la Biblioteca ma come sai è ben più gravoso il compito che mi è stato riservato. La difesa e l’arricchimento della Camera di Thot con il Fondo delle Navi e la trascrizione di tutte le opere più pregevoli che gli scienziati di tutto il mondo conosciuto ci inviano».

Teofrasto continuò il suo lungo discorso mentre sistemava alcuni papiri in una nicchia del muro dedicata all’astronomia, voltandosi a guardare Dositeo.

«I sospetti del sovrintendente sono sempre più forti, noi siamo di numero esiguo e deboli di fronte al potere. Filolao è già stato nelle segrete di Tolomeo per il solo sospetto del trasferimento di alcuni papiri».

Teofrasto si muoveva angosciato per la stanza agitandosi al solo pensiero di una possibile scoperta della loro seconda attività nella Biblioteca.

«Come preservare un così grande tesoro del sapere?» chiese a se stesso corrugando la fronte.

«Il nostro segreto deve essere affidato a qualche altro scienziato, un uomo retto e amante della scienza. Se noi fossimo imprigionati o uccisi nessuno potrebbe mai continuare a nutrire la Camera e il Tesoro.»

Il Guardiano mentre si muoveva sovrappensiero inciampò e fu sostenuto da Dositeo. D’un tratto prese con forza il polso dell’amico quasi cercando un’infusione di energia e forza.

«Archimede. Ecco la risposta, solo lui può aiutarci. Dositeo, convoca tuo fratello».

Dopo queste parole pronunciate con rinnovata energia, quasi si fosse liberato da un grande peso, il vecchio matematico si sedette al tavolo prendendo con delicatezza alcuni fichi succosi e profumati da un vassoio, lasciando Dositeo senza parole.

Teofrasto non aveva mai voluto incontrare Timeo di Pelusio, il meccanico lo chiamava, e gli affidava solo attraverso ordini scritti la costruzione di congegni meccanici e di misurazione.

Questo atteggiamento verso suo fratello faceva soffrire il filosofo ma non ne aveva mai fatto parola con l’amico.

«Perché questa improvvisa decisione? Dimmi se hai qualche rimprovero da muovergli, gli parlerò io. L’hai già umiliato con la tua lettera per il ritardo nella costruzione del Guardiano!»

«Non posso ancora rivelarti il mio progetto. Convocalo, te ne prego» ripeté Teofrasto che continuò con dolcezza, vedendo l’amico rattristarsi.

«Dositeo, perdonami se qualche volta sono stato troppo duro ma questo compito ha segnato la mia vita. Puoi chiamare Fileide?» aggiunse ancora il vecchio con un pallido sorriso dopo essersi schiarito la voce.

Congedato da Teofrasto, che si era rialzato alla ricerca di qualche documento, e ancora sorpreso dallo strano e insolito invito rivolto al fratello meccanico, Dositeo si diresse verso l’uscita della Sala grande, la varcò e dietro la porta trovò seduto in una strana posizione l’assistente di Teofrasto.

Non si trattava di uno scriba come gli altri, il prezioso segretario di Teofrasto era una fanciulla, Fileide, unica donna ammessa nelle stanze segrete della Biblioteca e in grado di leggere e scrivere in tutte le lingue conosciute. La ricordava ancora bambina quando negli anni felici in cui Archimede era tornato ad Alessandria spesso li cercava nei giardini della Biblioteca, li invitava a giocare con lei e si divertiva delle strane filastrocche che il siracusano componeva al momento con i numeri più disparati per farla divertire. Archimede aveva inventato e costruito per Fileide anche uno strano gioco a incastro, che però era rimasto senza nome o perlomeno ognuno lo chiamava in modo diverso.

Era stato Timeo che, dopo la partenza di Archimede, ne aveva realizzato altre copie.

La bimba vivace e intelligente era poi diventata una fanciulla sottile come un giunco e felina nei movimenti, solo le lunghe ciglia e lo sguardo malizioso di due occhi azzurri come le acque del Nilo alle sue fonti rivelavano il suo sesso.

Dopo un affettuoso saluto e un abbraccio, Dositeo disse alla giovane che il padre aveva chiesto di lei.

Fileide ripose il papiro su cui stava pennellando strani segni e si alzò riflettendo su quale fosse il nuovo compito che Teofrasto intendeva affidarle. La sua abilità era stata spesso molto utile alla Camera di Thot.

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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