AEternum

AEternum - Gianluca Taliani

Aeternum di Gianluca Taliani –

Un incontro fortuito poco prima di Natale, una passione sconvolgente e inarrestabile per un noir denso di erotismo che aprirà le porte di quella stanza segreta in cui di solito si ha paura di guardare.

Vigilia di Natale, Parigi

L’incontro accidentale tra due sconosciuti e una passione che nasce spontanea, fin dal primo sguardo, fin dalla prima parola.L’attrazione fra i due è dirompente ma non c’è tempo per scomparire l’uno nell’altra già da quel primo incontro. Entusiasmo, titubanza per Gil, impazienza e trepidazione per Arnaud sono i sentimenti principali che caratterizzano quei lunghi, interminabili giorni di festa.
E dopo il Natale in famiglia, finalmente, si rivedono.
Il desiderio fra i due esplode, è incontenibile, inarrestabile e i due amanti perdono a poco a poco la loro autonomia: ognuno di loro si fa preda del delirio dell’altro, di un desiderio sterminato, estremo, quasi surreale. Un amore destinato a vivere per l’eternità.
La sorte però tesse una trama crudele: aspirazioni diverse, gelosia, invidia di altri e un passato mai trascorso che prepotente riappare si frappongono tra loro e così, come i tarocchi di Marsiglia avevano predetto, quell’amore si appresta a vivere il buio profondo di una notte che cade. E si tinge di nero.

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AEternum:

Prologo

Lo avevano predetto i tarocchi di Marsiglia. Ma io non avevo voluto crederlo. «Quando il gallo canta a mezzanotte, qualcuno morirà presto. Di morte violenta. E accadrà prima della successiva luna.»
Adesso, mentre la neve si posa lenta sui calicanti, ricopre il mio corpo e nasconde il mio nome, capisco invece che era tutto paurosamente degno di fede.
Le querce del parco chiudono sopra di me i loro rami rinsecchiti dal gelo, a improvvisare una sepoltura eterna. In questi miei ultimi respiri, dimentico la tragica livrea invernale e, per un attimo ancora, scorgo il verde di una primavera trionfale e l’oro di un autunno acceso.
È l’ultima volta per me, al Bois de Boulogne, il parco dei re quando Parigi era ancora Lutèce, quando il nome di questa foresta era Rouvre, il dominio delle querce. Quercus Robur, l’albero del vigore, della forza vitale.
Che ora mi abbandona.

1
Gli amanti di Parigi

Dieci. Cento. Forse, mille.
Chissà quante persone, in questo momento, hanno appena fatto l’amore.
Ormai appagati ma ancora roventi, continuano ad amarsi e forse un poco ansimano, madidi ancora dei profumi della loro intimità.
Vista dalla luna, Parigi appare come la corolla di un fiore: lo stelo coperto dal marmo di Notre Dame e le volute della Senna a separarne i larghi petali. Fino alla luna, la città riflette i suoi colori e diffonde i suoi aromi. I grandi boulevard fungono da sepimenti, ogni edifici è smussato e rotondo come una particella di polline, e in ogni granulo si animano moltitudini di persone: uomini, donne, bambini.
E lì, al riparo di soffitti disuguali, calpestano pavimenti di diversa sostanza. Lì vivono, dormono, sognano. Pensano. Amano. Mille vite sospese nell’aria. E mille storie che nessuno mai racconterà.
Quella di Gil e Arnaud, forse sì, qualcuno la racconterà. E sarà intessuta delle infinite parole di un amore improvviso, acceso con il vigore del fuoco e spento con l’ineluttabilità della fine.
Un incontro banale in un luogo di quotidiana ovvietà, un futile pretesto per innescare una deflagrazione fatale.

2
Il sedano galeotto

«Mi scusi, ha per caso un sedano nella sua borsa?»«Ho una bottiglia di rum guatemalteco. Se ha un minuto, la aprirò con piacere, per lei, bellissima creatura, e festeggeremo insieme la Vigilia di Natale.»
«La prego, non vorrei ripetere la fila.  Prima che perda il mio turno, le dispiacerebbe correre al banco della verdura, e portarmi un sedano?»
All’interno dell’ipermercato lui la aveva notata già dall’ingresso. E l’aveva scambiata per la stella cometa, tanta era la sua luce. Aveva deciso così di seguirla.
«È cosa buona e giusta, volgerò lo sguardo al cielo, in fondo lo hanno fatto anche i re Magi. Il pensiero, un po’ dissacrante in quel giorno particolare, si era affacciato alla sua mente con un sorriso da monello.»
Per qualche minuto, con discrezione, l’aveva pedinata, da dietro il carrello, tra surgelati e vasetti di senape di Digione. Era rimasto colpito dal verde sottobosco dei suoi occhi: il colore della borraccina del presepe. Pareva un anemone cresciuto nella sabbia dei suoi capelli color oro, tutta racchiusa in quel cappotto blu, di stoffa pesante e con il colletto largo, come una ragazza di buona famiglia, e forse di un’epoca remota.
Appena si era accostata a una cassa, lui si era avvicinato come un pastore alla capanna di Gesù – ancora un paragone irrispettoso – non per precisa volontà, ma solo per istinto. Adesso, al banco delle verdure, si stava affannando a raccogliere nelle mani un esemplare singolo di sedano, forse troppo verde e per giunta cellofanato, per poi impugnarlo come il testimone di una staffetta, correndo per consegnarlo rapidamente a lei, prima della stampa dello scontrino.  E sentirsi poi fiero di aver portato a termine il suo compito con pieno successo, meritevole dunque di ricevere la sua lode.
Appena lei fu uscita, abbandonò in tutta fretta carrello e rum d’annata e si precipitò a raggiungerla.
«Non ricordo che sapore possa avere un sedano, ma, da oggi, resterà indissolubilmente legato al ricordo di questo incontro. E dei suoi occhi.»
«Ci vorrebbero giornate lunghe come elastici tirati, per riuscire a portare in fondo tutte le commissioni, e in questi giorni soprattutto.»
«Vede quella brasserie davanti a noi? Mi permetterebbe di assaggiare una costola del suo sedano? Immagino che si accosti bene con un Pastis.»
«Allora mi inviti a cena, a casa sua.»
«La prego …»
«Oppure organizziamo da me. Rientrerò nel supermercato per acquistare un libro di gastronomia. E cucinerò io stesso il suo sedano succulento. Magari affogandolo nel rum, giamaicano.»
«Mi scusi, devo proprio andare: non ho un attimo di tempo. Grazie. E buone feste.»
«Le feste vere inizieranno solo domani. E gli auguri anticipati non sono di buon auspicio.»
«Le lascerò il numero del mio cellulare. E domani, se lo vorrà, potrà inviarmi un messaggio per un felice Natale.»
«Sarò occupatissima: al mattino sono di turno in ospedale. E il mio pomeriggio è denso di impegni.»
«Dottoressa… io non conosco neppure il suo nome.»
«Piacere di averla incontrata. Mi chiamo Trintignant.»
«Il suo nome è Trintignant? Non mi sembra molto femminile.»
«Trintignant è il mio cognome.»
Che sbadato. Lo era anche dei suoi genitori, e dei suoi avi. Non le hanno lasciato un nome di battesimo? Neanche in eredità?»
«Il mio nome è Gil.»
«Questo è certo un nome splendido. Mi sembra di ricordare che sia anche il nome di un fiore.»
«Devo salutarla.»
«Solo un attimo. Questo è il mio biglietto da visita. Ci sono i miei recapiti.»
«Arnaud Thibault. Un architetto. Dovevo immaginarlo: lei è davvero incline a fare progetti. Di ogni tipo, direi.»
«A me piace soprattutto vederli realizzati. Comunque, non butti via il mio numero: potrebbe avere l’esigenza di ristrutturare qualche proprietà. O semplicemente di commissionarmi un nuovo sedano: regalano un sapore soave a qualsiasi piatto.»
«Adesso vado davvero. Buon Natale.»
«Ancora con gli auguri fuori tempo. Mi scusi di nuovo, mi conceda un secondo. È tempo di regali. Ho deciso di farmene uno, il più bello che mi potessi aspettare: cercare di rivederla presto. Aspetto per domani un suo sms. Arrivederci. E abbia cura di se stessa. E del nostro sedano.»

3
Un nobile Natale

Sotto l’abete, colorato di ghirlande rosse e luminoso di riflessi di stelle, l’allegro ravi, con la sua lanterna, illumina la strada per il presepio. Personaggi sacri e scene di vita quotidiana, arrivati dalla Provenza: Gil ha preparato tutto con estrema cura. Alte montagne glabre, con piccole case illuminate, scenari d’oriente, il fiume e il laghetto ricco di palme, muschio ovunque a simulare i prati. E poi i pastori con il gregge, inginocchiati davanti a una piccola capanna senza tetto, costruita con la carta da pacchi e illuminata solo di luce bianca, in contrasto con le altre lampadine, multicolori e intermittenti.
Accanto alla grotta di Gesù Bambino gli zoccoli dei ragazzi riempiti di doni. Un ceppo grandissimo che brucia nel camino dalla Vigilia.
Adesso Gil è in cucina con Françoise, la sua amica d’infanzia, invitata per il pranzo. Ha già messo in forno la Tarte Tatin che servirà riscaldata alla fine del pranzo. Ha cosparso di ghiaccio i vassoi con langoustines e ostriche Gillardeau. Tra un po’ cuocerà l’arrosto di pollo. Intanto prepara la Bûche de Nöel, il dolce tradizionale che sulle tavole francesi non può mancare: cioccolato, crema, pan di Spagna. La sue mani si muovono leggere e armoniose, ma i suoi pensieri sono altrove, lontani, concentrati su un piccolo sedano, dietro due occhi quasi dello stesso colore. Li trattengono là tante parole che continuano a risuonarle dentro.
Françoise la guarda di sottecchi, spia quasi i suoi pensieri. Si conoscono da tanto, non hanno bisogno di troppe parole.
«Sii sincera, Gil, ma questo Arnaud è sposato?» arriva diretta al punto Françoise.
«Credo di no» esita Gil.
«Ahi, ahi. Non sei sicura?»
«Non lo so» finge di non cogliere la malizia.
«Un architetto, anche lui» la incalza l’amica. «Vuoi ricominciare daccapo?»
«Perché dici ’anche?»
«Svegliati, Gil! Tuo marito, anche se tutti lo chiamano Conte, è un architetto.»
«Ma cosa c’entra lui?» si schermisce Gil, sentendosi ormai alle strette.
L’amica però non sembra accorgersene, né pare intenzionata a mollare la presa della sua maliziosa curiosità.
«Andiamo avanti. Abita a Parigi?»
«Non ha avuto il tempo di mostrarmi la carta di identità, ti pare? E nel biglietto da visita c’è solo l’indirizzo dello studio.»
«Ma perché hai inventato che stamani saresti stata al lavoro?»
«Per difendermi da lui. Mi sentivo in gabbia.»
La fragile difesa di Gil inizia a mostrare le prime crepe.
«Ti ha lasciato il numero di cellulare?»
«Ma certo. L’ho salvato nella rubrica con il nome di Françoise Orange.»
«Perché con il mio nome? – sussulta l’amica – In queste cose non voglio essere coinvolta!»
«Non dimenticare che questo stratagemma me lo hai insegnato proprio tu», la deride Gil.
«Ma davvero quel tipo ti ha colpita così tanto?»
«Ascolta, Françoise, hai presente? Alto come la Tour Eiffel, biondo e prezioso come l’oro di Cartier, gli occhi verdi come il Bois de Boulogne. Ne saresti stata folgorata anche tu.»
«Penso che d’ora in poi andrò anch’io a fare la spesa al Carrefour di St Denis», le strizza l’occhio, solidale.
«Granitico come una colonna della Madeleine, travolgente come la piena della Senna a Les Havres…» prosegue Gil, quasi sognante.
«Sì, e magari ce lo aveva lungo e dritto come gli Champs Élysées!» le spezza l’incantesimo, perfida, Françoise. «Ma, questo sms, quando glielo scriverai? Lo starà aspettando con ansia, no?»
«Oh», trasale Gil, «non credo che lo farò!»  
«Ne sei sicura?»
Gil sospira, abbassando gli occhi sul vassoio che sta preparando con mani nervose, senza sapere in realtà cosa stia facendo.
«È stato molto gentile, ecco tutto. E indossava uno splendido sorriso», sorride anche lei a quel ricordo.
«Dove lo indossava? Al collo, come la cravatta di un bancario? Sui capelli, come il copricapo di un cow-boy?»
«Non portava né cravatta né cappello. E di capelli, a dirti il vero, non ne aveva nemmeno troppi. Ma era come se la mimica del suo volto, e forse del suo corpo intero, fosse stata scolpita nell’atto di sorridere, e lì fosse rimasta tutto il tempo.»
«Vuoi dire che era paralitico?»
«Mi prendi in giro. Io invece ho capito ieri come uno stato d’animo riesca a improntare ogni gesto e ogni aspetto di una persona. Forse ogni cellula.»
«Gil, non mi avevi detto di averlo osservato addirittura al microscopio.»
Le barriere di Gil ormai sono cadute e la diga del suo cuore si spalanca, arresa alle emozioni che si agitano dentro di lei.
«Aveva un modo inconfondibile di guardarmi negli occhi. Un modo sfrontato, eppure candido e innocente. Due occhi così liquidi e profondi che nessuna donna sarebbe riuscita a sostenerne lo sguardo per più di pochi istanti. Io ho cercato di rimanere indifferente, ma mi vedevo come doveva vedermi lui: questa maledetta ruga sull’occhio destro, a forma di ragnatela. Ero intimorita, capisci, ma anche stimolata e incuriosita.  Forse un poco eccitata. Françoise, ho paura di lui…»
«Stai attenta, Gil» la ammonisce comprensiva l’amica, divenuta a quel punto protettiva. «Paura fa rima con sciagura.»
«Paura di innamorarmi» ammette Gil.
«Stai correndo come il vento.»
«Un uragano, piuttosto. Volevo fuggire via, ma era come nei sogni, anzi come negli incubi, quando si vuol correre e si resta invece paralizzati.»
Il fiume Gil ormai è in piena.
«Non puoi sfuggire al destino. I tarocchi ti hanno predetto un incontro determinante.»  
«Le sue mani erano atteggiate come una carezza. Le sue braccia si protendevano nell’accenno di un abbraccio. Le sue gambe apparivano toniche e solide come tronchi di un albero fiorito. Le sue parole mi avvolgevano, colorate, calde e morbide, come una sciarpa di cashmere. Sembrava quasi che mi accarezzassero. Povera me, che mi fai dire…»
«Scommetto che le sue labbra erano umide e turgide come una montagna al disgelo di primavera. Oppure eri tu a essere umida e turgida, come una …»  
«Ferma con le tue metafore! E, se le mie sensazioni ti sembrano ridicole, smettila di farmi domande» la blocca Gil.
«Ma io non ti ho chiesto niente» ride l’amica, divertita.
«Beh, magari un augurio glielo rivolgerò volentieri, ma se gli invio un sms verrà a conoscenza del mio numero. E questo non lo voglio davvero. Tu, Françoise, conosci un modo di spedire sms anonimi?»
«No, è impossibile.«Ho deciso. Basta, non farò nulla.»
«Ma non ti rendi conto che hai una voglia pazza di lui? Continuerai a immolarti sull’altare della casta fedeltà a tuo marito?»
«Non è per questo, lo sai. Ma nemmeno voglio apparire una preda facile. E poi, soprattutto, non mi va di complicarmi la vita. Non ne ho l’abitudine. E tanto meno la voglia.»
«Però, questo nuovo architetto te lo faresti di corsa. Hai il coraggio di negarlo?»  

Questa è la fine dell’anteprima gratuita. 

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